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USUCAPIBILITA’ DEL BENE OGGETTO DI DECRETO DI ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 651 del 12.01.2023

 

Con la Sentenza n. 651 del 12.01.2023 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione risolvono la questione riguardante gli effetti del decreto di espropriazione cui non segua l’effettiva immissione in possesso da parte della Pubblica Amministrazione o, comunque, una condotta realizzativa delle opere previste nella dichiarazione di pubblica utilità.

In particolare, la giurisprudenza si interroga se sia automatica la perdita dell’animus possidendi in capo all’occupante con conseguente interruzione di un pregresso possesso utile ad usucapionem. ovvero se il possesso continui a sussistere in capo allo stesso, che potrà riacquistare la proprietà del bene per usucapione ancorché oggetto di espropriazione.

Sul punto, infatti, esisteva un marcato contrasto giurisprudenziale esaminato nell’articolo del 25.10.2022 (https://bit.ly/3IXkNRK), cui si rimanda, che ha giustificato la rimessione della questione al Primo Presidente della Suprema Corte (C. Cass., Sez. II, Ordinanza interlocutoria n. 19758/2022)[1].

  1. La decisione della Corte di Cassazione.

La Suprema Corte, a Sezioni Unite, condivide l’orientamento giurisprudenziale contrario alla usucapibilità del bene a favore del proprietario espropriato che rimane nella disponibilità del bene stesso, il quale quindi può vantare una mera detenzione precaria non utile ad usucapionem.

Tale soluzione è applicabile, secondo il Collegio, sia alle controversie soggette al regime previgente all’entrata in vigore del Testo Unico degli espropri, disciplinate dalla L. n. 2359/1985 (a), sia alle controversie soggette alle disposizioni del predetto Testo Unico (D.Lgs. n. 327/2001 entrato in vigore il 30 giugno 2003) (b).

a) Decreto di esproprio per pubblica utilità emesso in data antecedente al 30 giugno 2003.

All’emissione del decreto di esproprio per pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza (e, quindi, non in presenza di una mera occupazione d’urgenza del bene da parte della Pubblica Amministrazione, prima o in mancanza di un provvedimento espropriativo) consegue l’automatica appartenenza del bene oggetto dell’atto amministrativo al patrimonio indisponibile, “prima e indipendentemente dalla realizzazione dell’opera” cui il decreto è preordinato.

Tale effetto è confermato dalle numerose disposizioni legislative citate nella Sentenza in commento: “si vedano gli artt. 42-bis, comma 1, del t.u. del 2001, costituente un “procedimento espropriativo semplificato”; della L. 22 ottobre 1971,n.865art.21, comma 2, e 35, comma 3, modificativa della L. 18 aprile 1962 n. 167, in tema di edilizia residenziale pubblica, applicabile anche agli edifici scolastici e alle aree verdi, e le numerose leggi regionali che prevedono l’acquisizione degli immobili espropriati al patrimonio indisponibile del Comune”.

Al proprietario espropriato, a fronte della totale inerzia della Pubblica Amministrazione protratta nel tempo e del venir meno della dichiarazione di pubblica utilità, è tutt’al più riconosciuto il diritto alla retrocessione disciplinato nel Capo VII della Legge n. 2359/1985, che gli consente di riacquistare sia la proprietà sia il possesso del bene tramite sentenza costitutiva e previo pagamento del relativo prezzo.

Pertanto, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “nelle controversie soggette al regime normativo antecedente all’entrata in vigore del t.u. n. 327 del 2001, nelle quali la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta prima del 30 giugno 2003, nel caso in cui al decreto di esproprio validamente emesso (come è incontestato nella specie) – che è idoneo a far acquisire al beneficiario dell’espropriazione la proprietà piena del bene e ad escludere qualsiasi situazione di fatto e di diritto con essa incompatibile – non sia seguita l’immissione in possesso, la notifica o la conoscenza effettiva del decreto comportano la perdita dell’animus possidendi in capo al precedente proprietario, il cui potere di fatto sul bene – se egli continui ad occuparlo – si configura come una mera detenzione, con la conseguenza che la configurabilità di un nuovo periodo possessorio, invocabile a suo favore “ad usucapionem”, necessita di un atto di interversiopossessionis da esercitare in partecipata contrapposizione al nuovo proprietario, dal quale sia consentito desumere che egli abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio. Resta fermo il diritto dell’espropriato di chiedere la retrocessione totale o parziale del bene”.

b) Decreto di esproprio per pubblica utilità emesso in data posteriore al 30 giugno 2003.

La Suprema Corte esclude altresì l’usucapibilità del bene espropriato mediante decreto soggetto ratione temporis al Testo Unico degli espropri non seguito da alcun atto dell’espropriante di materiale apprensione, ma per ragioni parzialmente differenti rispetto a quelle appena enunciate.

Infatti, ai sensi dell’art. 24, comma 1, del citato Testo Unico, l’immissione in possesso del beneficiario dell’espropriazione – mediante redazione del prescritto verbale – deve avvenire nel termine perentorio di due anni dall’emissione del decreto di esproprio.

In caso contrario, “il decreto di esproprio […] diventa inefficace e la proprietà del bene si riespande immediatamente in capo al proprietario, perdendo rilevanza la questione dell’usucapione, salvo il potere dell’autorità espropriante di emanare una nuova dichiarazione di pubblica utilità entro i successivi tre anni (art. 24, comma 7), nel qual caso dovrà essere emesso un nuovo decreto di esproprio, eseguibile entro l’ulteriore termine di due anni di cui all’art. 24, comma 1”.

Quindi, anche in questo caso, se il decreto di esproprio è tempestivamente eseguito, l’occupazione del bene da parte del precedente proprietario realizza una situazione di mero fatto non configurabile come possesso utile ai fini dell’usucapione.

 

 

 

 

 

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]Orientamento giurisprudenziale che riconosce il possesso in capo all’occupante: “in tema di possesso ad usucapionem, tanto il trasferimento volontario quanto quello coattivo di un bene non integrano necessariamente, di per sé, gli estremi del constitutumpossessorium, poiché – con particolare riguardo ai trasferimenti coattivi conseguenti ad espropriazione per pubblica utilità – il diritto di proprietà è trasferito contro la volontà dell’espropriato/possessore, e nessun accordo interviene fra questi e l’espropriante, né in relazione alla proprietà, né in relazione al possesso. Ne consegue che il provvedimento ablativo non determina, di per sé, un mutamento dell’animus rem sibihabendi in animus detinendi in capo al proprietario espropriato, il quale, pertanto, può del tutto legittimamente invocare, nel concorso delle condizioni di legge, il compimento in suo favore dell’usucapione (a ciò non ostando, tra l’altro, il disposto della L. n. 2359 del 1865, artt. 52 e 63 ) tutte le volte in cui alla dichiarazione di pubblica utilità non siano seguiti né l’immissione in possesso, né l’attuazione del previsto intervento urbanistico da parte dell’espropriante, del tutto irrilevante appalesan-dosi, ai fini de quibus, l’acquisita consapevolezza dell’esistenza dell’altrui diritto dominicale” (testualmente, C. Cass., Sez. I, Sentenza n. 5293/2000; ex multis: C. Cass., Sentenze nn. 5996/2014, 25594/2013, n. 13558/1999 e, implicitamente, n. 3836/1983.
Orientamento giurisprudenziale che non riconosce il possesso in capo all’occupante: “il decreto di espropriazione è idoneo a far acquisire la proprietà piena del bene e ad escludere qualsiasi situazione di diritto o di fatto con essa in-compatibile e, qualora il precedente proprietario o un soggetto diverso continuino ad esercitare sulla cosa un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, la notifica (o conoscenza) del decreto ne comporta la perdita dell’animus possidendi, conseguendone che, ai fini della configurabilità di un nuovo possesso ad usucapionem, è neces-sario un atto di interversiopossessionis [ex art. 1141 c.c.]” (testualmente, C. Cass., Sez. I, Sentenza n. 6742 del 2014; ex multis: C. Cass., Sentenze nn. 13669/2007, 12023/2004, 23850/2018, 6966/1988)

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