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SULLA SUSSIDIARIETA’ DELL’AZIONE DI INDEBITO ARRICCHIMENTO
Corte di Cassazione, Sezione Terza civile, Ordinanza n. 5222 del 20.02.2023.

 

Con Ordinanza n. 5222 del 20.02.2023 la Sezione Terza della Corte di Cassazione, con riferimento alla corretta interpretazione della regola della residualità dell’azione di indebito arricchimento, ha rimesso la questione al Primo Presidente, per un eventuale rinvio alle Sezioni Unite, al fine di fornire un’interpretazione pacifica circa la corretta individuazione dell’ambito di applicazione della regola prevista dall’art. 2042 c.c..

La questione oggetto di rimessione, nello specifico, riguarda l’interpretazione della regola della sussidiarietà per l’azione ex art. 2041 c.c., la cui applicazione presuppone la mancanza della previsione di una tutela tipica, ossia quella derivante dal contratto o prevista dalla legge, da intendersi non come carenza sul piano processuale, con conseguente possibilità per il depauperato di esperire l’azione di arricchimento qualora l’azione atta all’ottenimento del risarcimento dal pregiudizio subito sia fondata su una clausola generale.

La quaestio a fondamento del giudizio trae origine dalla richiesta di risarcimento per responsabilità precontrattuale e, subordinatamente, quella di risarcimento dal pregiudizio subito da parte di una società finanziaria avverso una Amministrazione Comunale[1].

Il Giudice di prime cure ha rigettato la domanda principale (sulla responsabilità precontrattuale) per difetto di prova, accogliendo, tuttavia, la domanda ex art. 2041 c.c..

 La Corte d’Appello, invece, ha riformato la sentenza del Tribunale, dichiarando inammissibile la domanda di ingiustificato arricchimento, tenuto conto del rigetto della domanda principale e dell’operatività della regola della residualità ex art. 2042 c.c..

Alla luce dei motivi addotti e delle tesi argomentate dalle parti, pertanto, la Corte si è interrogata circa l’ambito di applicazione e l’ammissibilità dell’art. 2042 c.c. e, conseguentemente, sulla possibilità che tale clausola possa valere sempre, anche nelle ipotesi in cui l’azione principale, e la correlata tutela, non abbiano titolo in un contratto o nella legge.

L’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.

Affinché possa essere debitamente esperita l’azione di ingiustificato arricchimento, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, è necessario che il depauperato non abbia a disposizione un’azione tipica per trovare tutela risarcitoria, potendo esperire tale azione solo ove la tutela sia ammessa e prevista da una clausola generale[2].

Specificatamente, l’art. 2041 c.c. prevede che “chi, senza una giusta causa, si è arricchito danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale.  Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda”.

La condizione preclusiva all’ammissibilità dell’azione per indebito arricchimento è prevista dall’art. 2042 c.c., ai sensi del quale “l’azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito”.

Tale norma cristallizza il carattere residuale e sussidiario dell’azione, comportando l’inammissibilità della stessa ogniqualvolta il depauperato possa ottenere risarcimento per il pregiudizio subito mediante un’azione tipicamente prevista dal titolo o dalla legge, diversa e alternativa a quella di arricchimento.

La Corte Suprema, nell’Ordinanza in esame, preliminarmente si interroga sulle ragioni giustificatrici della residualità e sulla potenziale applicazione dell’art. 2042 c.c.  anche ove la pretesa del danneggiato sia fondata su una clausola generale.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, infatti, la preclusione all’operatività dell’azione ex art. 2041 c.c. opera quando il danneggiato abbia a disposizione un’azione differente e alternativa rispetto a quella di arricchimento per trovare tutela, risultando, a tal fine, necessaria una verifica sulla sussistenza di un titolo valido che attribuisca all’interessato un’azione che possa essere esperita in alternativa all’arricchimento[3].  

Ai fini dell’esperibilità dell’azione di arricchimento, dunque, il Giudice adito deve verificare se il depauperato, per titolo, contratto o legge, abbia a disposizione un’azione diversa da quella prevista dall’art. 2041 c.c., ossia “occorre verificare se l’interessato abbia un titolo da far valere, in via principale e dunque in alternativa all’arricchimento[4].

Nelle ipotesi in cui, invece, l’azione principale a tutela del danneggiato sia fondata su clausola generale, necessita una valutazione atta ad individuare l’assenza di azioni alternative e diverse a quella di arricchimento che, teoricamente, il danneggiato potrebbe esperire, poiché tale circostanza legittima il depauperato ad agire ai sensi dell’art. 2041 c.c. senza alcuna preclusione.

Secondo il citato orientamento, altresì, la ratio della natura sussidiaria dell’azione di arricchimento deve essere individuata nel fine di evitare che il danneggiato possa eludere o aggirare i limiti esistenti nei confronti dell’azione tipica, cercando ulteriore o aggiuntivo ristoro[5].

Sostanzialmente, il limite imposto eviterebbe duplicazioni risarcitorie, impedendo a chi ha già trovato riparazione al pregiudizio economico subito di agire nuovamente ex art. 2041 c.c. ottenendo un ingiusto profitto[6].  

L’Ordinanza n. 5222 del 20.02.2023.

La Terza Sezione della Suprema Corte, con riferimento alla ratio della norma, nell’Ordinanza in commento precisa che, in realtà, la ratio della sussidiarietà coinciderebbe con l’evitare che il depauperato, una volta rigettata o dichiarata inammissibile la domanda principale, aggiri la statuizione sfavorevole proponendo successiva azione di ingiustificato arricchimento. Considerando il fine precipuo della preclusione di cui all’art. 2042 c.c., ossia quello di evitare eventuali elusioni dell’azione tipica e dell’esito sfavorevole della stessa, astrattamente si potrebbe ammettere l’estensione dell’applicabilità della preclusione anche nelle ipotesi in cui il danneggiato possa tutelarsi con azioni diverse e alternative, qualora la pretesa rigettata risultasse fondata su una clausola generale[7].

Tale ipotesi, a parere della Suprema Corte, potrebbe essere ammessa, a titolo esemplificativo, nel caso di prescrizione dell’azione principale, poiché se il fine della preclusione è quello di scongiurare duplicazioni di risarcimento e cumuli di azioni, anche in ipotesi di rigetto o prescrizione l’azione di ingiustificato arricchimento potrebbe, comunque, trovare accoglimento mancando il requisito ostativo della duplicazione e, pertanto, non incorrendo nella violazione del divieto di cui all’art. 2042 c.c..

Altro argomento evidenziato dalla Corte concerne la verifica del titolo sotteso all’azione principale, qualora questa sia fondata su una clausola generale; più in particolare, occorre effettuare un’analisi atta a verificare se il danneggiato abbia o meno un titolo che escluda l’esperimento dell’azione di indebito arricchimento. Tale verifica, inevitabilmente, trasformerebbe l’accertamento sul titolo in un accertamento sulla fondatezza della domanda[8].

Per la Corte, in realtà, non deve compiersi una valutazione concreta circa la sussistenza di un’azione concorrente esperibile ma è sufficiente che per il danneggiato tale alternativa possa essere esperita in astratto, prescindendo da quello che potrebbe essere l’esito del giudizio[9]. Considerando come fondato tale ragionamento, allora, “se ciò è vero, significa che non deve essere richiesta la prova di un rimedio concorrente concretamente fruibile ma è sufficiente che tale rimedio risulti configurato in astratto”[10].

La Corte, dunque, ritiene che “…anche ad ammettere che, nel caso di clausola generale, l’indagine sulla sussidiarietà dell’azione di arricchimento rischia di diventare indagine nel merito, ossia indagine che deve valutare non solo l’astratta disponibilità dell’azione alternativa, ma altresì se di quest’ultima sussistano i presupposti, anche ad ammettere questa prospettiva, essa non ha più ragion d’essere quando, come nel caso presente, quell’indagine è stata già fatta e l’azione principale, giudicata nel merito, è stata rigettata”[11].

L’azione ex art. 2041 c.c., pertanto, nelle ipotesi di rigetto/inammissibilità della domanda principale, non è ammissibile in quanto configurerebbe un’elusione della statuizione (sfavorevole) sull’azione principale e, conseguentemente, una violazione della regola prevista all’art. 2042 c.c..

La Terza Sezione della Suprema Corte, allora, ha messo in dubbio la correttezza del consolidato orientamento; in particolare, la corretta individuazione dell’ambito di applicazione della regola della residualità, che ritiene quale presupposto ai fini dell’operatività della preclusione l’assenza di azioni tipiche (i.e. previste dalla legge o dal titolo), alternative e diverse a quella di arricchimento a tutela del pregiudizio economico subito dal depauperato.

Conseguentemente, la Corte ritiene applicabile l’art. 2041 c.c. quando l’azione astrattamente esperibile dal danneggiato sia prevista da una clausola generale, con conseguente necessità di una valutazione circa la sussistenza o meno di un’azione tipica alternativa che possa essere esperita dall’impoverito, valutazione che, tuttavia, secondo la Corte, deve essere effettuata in astratto, non potendo sconfinare nel merito della domanda, ossia in un giudizio circa la fondatezza della pretesa.

Stante il rinvio al Primo Presidente di Sezione, e la possibilità che la questione venga rimessa alle Sezioni Unite, occorre attendere la pronuncia che potrebbe appianare l’incertezza ed i dubbi sollevati dalla Terza Sezione circa i limiti di ammissibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento e l’ambito di applicazione della regola della residualità.

In particolare, si potrebbe addivenire ad un’interpretazione che ritenga applicabile la regola ex art. 2042 c.c. non solo ove l’azione principale sia basata su contratto o sulla legge, ammettendone quindi l’ammissibilità sempre, prescindendo dall’azione fatta valere, anche qualora la domanda principale, fondata su una clausola generale, venga rigettata o dichiarata inammissibile, così da evitare che il depauperato possa comunque trovare ristoro, nonostante l’esito sfavorevole della domanda  principale, tenuto conto, altresì, della ratio ispiratrice dell’art. 2042 c.c..

 

 

 

 

 

 

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]La società aveva acquistato un terreno con natura edificabile e presentato il piano di lottizzazione; a seguito di rinnovo dell’Amministrazione, il Comune modificava il Piano di Fabbricazione ed il Piano Edilizio, variando la destinazione dell’immobile da residenziale ad agricolo, con conseguente perdita di valore dell’immobile. A tale circostanza, dovevano aggiungersi le spese sostenute dalla società per l’interramento di cavi sul terreno di sua proprietà, che originariamente doveva essere effettuato dal Comune ma, viste le rassicurazioni da parte dell’Amministrazione dell’imminente variazione della destinazione urbanistica dell’area di interesse, la società si era offerta di anticipare le spese relative all’interramento. La destinazione del terreno, tuttavia, rimaneva agricola. La società, pertanto, decideva di agire in giudizio per accertamento della responsabilità precontrattuale del Comune e anche ai sensi dell’art. 2041 c.c. (Cass. Civ. 5222/2023).
[2]Secondo l’orientamento citato “Presupposto per proporre l’azione di ingiustificato arricchimento è la mancanza, accertabile anche di ufficio, di un’azione tipica, tale dovendo intendersi non ogni iniziativa processuale ipoteticamente esperibile, ma esclusivamente quella derivante da un contratto o prevista dalla legge con riferimento ad una fattispecie determinata, pur se proponibile contro soggetti diversi dall’arricchito. Ne consegue che è ammissibile l’azione di arricchimento quando l’azione, teoricamente spettante all’impoverito, sia prevista da clausole generali, come quella risarcitoria per responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c.” (Così Cass. Civ. 843/2020).
[3]Secondo il consolidato orientamento “L’azione di arricchimento senza causa ha carattere sussidiario ed è quindi inammissibile, ai sensi dell’art. 2042 cod. civ., allorché chi la eserciti, secondo una valutazione da compiersi in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito, possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito” (Cass. Civ. S.U. 28042/2008; Cass. Civ. 29988/2018).
[4]Così Cass. Civ. 5222/2023.
[5]Secondo l’orientamento citato “le difficoltà, in particolare, stanno tutte nel verificare l’esistenza di un titolo idoneo a fondare tale responsabilità e quindi la possibilità di promuovere un’azione diversa, tenuto conto che il titolo dell’azione di danno aquiliano si identifica con l’insieme degli elementi costitutivi della fattispecie dell’illecito.” (Cass. Civ. 4620/2012)
[6]“Il divieto di esperire azione di arricchimento, in presenza di azione tipica, serve ad evitare duplicazioni risarcitorie, ossia impedire che chi ha già ottenuto risarcimento o ragione con l’azione principale poi agisca nuovamente con l’azione di arricchimento lucrando di nuovo, ed ingiustamente, una seconda volta.” (Cass. Civ. 5222/2023; 843/2020; 4620/2021).
[7]Secondo l’orientamento in commento “Non si vedono allora ragioni per limitare l’ambito di tale regola ai soli casi in cui si disponga verso l’arricchito di un’azione basata sul contratto o sulla legge, come se l’esigenza di evitare aggiramenti non si ponga anche nel caso in cui è stata rigettata una domanda basata su una clausola generale” (Cass. Civ. 5222/2023). “
[8]Secondo la Corte “sembra invece ultroneo ed eccessivo, in contrasto in definitiva, con lo stesso requisito di tipicità che deve rivestire l’azione principale, spingere l’accertamento della condizione in parola al riscontro della sussistenza in concreto di tutte le condizioni richieste dalla legge per il sorgere di un obbligo a carico di un terzo di risarcire il danno per responsabilità precontrattuale, con l’effetto che l’indagine del giudice sconfinerebbe da un accertamento astratto dell’esistenza del relativo diritto per addentrarsi in una valutazione di merito in ordine alla fondatezza stessa della pretesa” (Cass. Civ. 5222/2023).
[9]Secondo la Corte “l’azione di arricchimento senza causa ha carattere sussidiario ed è quindi inammissibile, ai sensi dell’art. 2042 cod. civ., allorché chi la eserciti, secondo una valutazione da compiersi in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito, possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito” (Cass. Civ. 5222/2023; 29988/2018; 25461/2010).
[10]Così Cass. Civ. 5222/2023.
[11]Così Cass. Civ. 5222/2023

 

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