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SEZIONI UNITE CORTE DI CASSAZIONE, ORDINANZA N. 5868 DEL 27.02.2023 IL RAPPORTO TRA L’ISTITUTO DELLA FIDEIUSSIONE E LA DISCIPLINA CONSUMERISTICA

 

Con la recente pronuncia n. 5868 del 27.02.2023, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato l’applicabilità della tutela prevista per i consumatori al fideiussore garante di un credito contratto da una società commerciale.

La tutela dei consumatori

Come noto, tra i principali obiettivi dell’Unione europea, sin dalla sua genesi, rientra la tutela della concorrenza, la cui disciplina costituisce elemento essenziale dell’integrazione europea, consentendo alle imprese di competere a parità di condizioni sui mercati di tutti gli Stati membri. La concorrenza nel mercato europeo viene garantita dagli organi dell’Unione mediante una molteplicità di istituti: si pensi all’articolata disciplina prevista in relazione al divieto di intese restrittive e di sfruttamento abusivo di posizione dominante, nonché ai limiti posti alle operazioni di concentrazione tra imprese e al divieto di aiuti di stato. In questo ampio contesto si colloca anche la disciplina posta a tutela dei consumatori.

La presenza di clausole abusive, infatti, pregiudica il buon funzionamento del mercato in quanto l’impresa che ne fa uso ottiene un indebito vantaggio a discapito delle imprese “sane”. Per tale motivo l’attenzione per la tutela del consumo acquista un’importanza centrale nelle politiche dell’Unione, tanto da essere espressamente richiamata nei Trattati istitutivi[1] e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue[2].

I principi espressi nelle fonti primarie trovano piena applicazione pratica in varie fonti di rango secondario dell’Unione, prima fra tutte la Direttiva 93/13/CEE recante la disciplina degli “unfaircontractterms”.

Soggetti del rapporto obbligatorio consumeristico sono il consumatore ed il professionista, rispettivamente definiti all’art. 2 della citata Direttiva come “qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale” e “qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata”. Oggetto della regolazione ivi contenuta, invece, è la clausola abusiva, definita dall’art. 3 come quella clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale e che determina, in contrasto con il requisito della buona fede eda danno del consumatore, “un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto”.

Il paragrafo 2 del medesimo articolo 3 puntualizza che la clausola non è oggetto di negoziato individuale “quando è stata redatta preventivamente in particolare nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto”: elemento scriminante, pertanto, è la possibilità per il consumatore di esercitare una certa influenza sulla determinazione del contenuto del contratto. Il paragrafo 3, infine,fa un rinvio ad un allegato contenente un elenco non esaustivo di clausole che possono essere dichiarate abusive.

La disciplina europea è stata recepita a livello nazionale dal Codice del Consumo ex D.lgs. 206/2005, il cui art. 33 richiama testualmente le definizioni soggettive e oggettiveut supra, specificando che si presumono vessatorie le clausole che abbiano per oggetto o per effetto di “sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi”. L’art. 36, poi, prevede che “le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto” e che “la nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”.

Ai fini espositivi, infine, giova richiamare anche la nozione dell’istituto della fideiussione prevista dall’art. 1936 c.c., ai sensi del quale “è fideiussore colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui”. Con la fideiussione, dunque, sorge un’obbligazione accessoria, che si sostanzia in una garanzia personale a carico del fideiussore, il quale risponde di tutti i suoi beni presenti e futuri, ex art. 2740 c.c., in favore del creditore.

Evoluzione giurisprudenziale della Corte di Giustizia dell’Ue

La Direttiva 93/13/CEE è stata etichettata come la “bella addormentata” in ragione del fatto che, per oltre un decennio, la sua portata applicativa è stata molto limitata. Il pressante intervento dei Giudici nazionali, per mezzo del rinvio pregiudiziale ex art. 279 TFUE, ha consentito il suo “risveglio” ad opera della Corte di Giustizia dell’Ue.

In particolare, la crisi finanziaria del 2008-2010 ha posto le basi per un’interpretazione sempre più estensiva dell’ambito di applicazione della Direttiva su diversi fronti: tra questi, per quanto di interesse, rientra l’applicabilità della tutela consumeristica al fideiussore garante di un credito contratto da una società commerciale.

L’intervento della giurisprudenza europea in materia è stato determinante. Fino alle più recenti pronunce della Corte di Giustizia Ue (di cui si dirà meglio infra) l’orientamento tradizionale nazionale riteneva che il fideiussore persona fisica non potesse essere qualificato come consumatore qualora prestasse garanzia a favore di un soggetto professionale[3]. Tale orientamento, che vedeva il fideiussore come un “professionista di riflesso”, peraltro non si poneva in contrasto con la giurisprudenza europea più risalente[4] che, attribuendo rilevanza al solo dato oggettivo del rapporto ed evidenziando il rapporto di accessorietà tra l’atto principale e la garanzia, riteneva applicabile la disciplina consumeristica solo se il contratto principale fosse un atto di consumo.

Con l’Ordinanza emessa in data 19.11.2015 all’esito del giudizio C-74/2015 (caso Tarcău c/ Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA), la Corte di Giustizia ribalta totalmente l’orientamento sino ad allora dominante nelle varie Corti nazionali, affermando la necessità di dare rilevanza non più al dato oggettivo, bensì a quello soggettivo. In particolare, la Corte europea afferma che “quanto alla questione se una persona fisica che si impegna a garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di un istituto bancario in base a un contratto di credito possa essere considerata un «consumatore» […] occorre rilevare che un siffatto contratto di garanzia o di fideiussione, sebbene possa essere descritto, in relazione al suo oggetto, come un contratto accessorio rispetto al contratto principale da cui deriva il debito che garantisce, dal punto di vista delle parti contraenti esso si presenta come un contratto distinto quando è stipulato tra soggetti diversi dalle parti del contratto principale. È dunque in capo alle parti del contratto di garanzia o di fideiussione che deve essere valutata la qualità in cui queste hanno agito”; conclude, poi, affermando che “spetta al giudice nazionale, investito di una controversia relativa a un contratto idoneo a rientrare nell’ambito di applicazione di tale direttiva, verificare, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie e di tutti gli elementi di prova, se il contraente in questione possa essere qualificato come «consumatore» ai sensi della suddetta direttiva[5].

L’Ordinanza n. 5868/2023 delle Sezioni Unite

La giurisprudenza di legittimità[6] si è adeguata al nuovo orientamento, ritendo sempre più spesso applicabile la disciplina consumeristica in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da una persona fisica in favore di una società. Esplicativa è, sul punto, la Sentenza del 16.01.2020 n. 742 in cui la Corte di Cassazione afferma che l’accessorietà fideiussoria “non può venire proiettata fuori da esso, per spingerla sino a incidere sulla qualificazione dell’attività – professionale o meno – di uno dei contraenti; tanto meno, l’accessorietà potrebbe far diventare un soggetto (il fideiussore o, più in generale, il terzo garante) il replicante, ovvero il duplicato, di un altro soggetto (il debitore principale)”.  La qualificazione del contraente persona fisica, infatti, deve essere valutataalla stregua del criterio generale del consumatore di cui all’art. 3 del Codice del consumo. Conclude, dunque, affermando che dev’essere considerato consumatore “il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità non inerenti allo svolgimento di tale attività, bensì estranee alla stessa, nel senso che si tratti di atto non espressivo di questa, né strettamente funzionale al suo svolgimento (c.d. atti strumentali in senso proprio)”.

Con l’Ordinanza del 27.02.2023n. 5868le Sezioni Unite confermano l’orientamento introdotto dalla giurisprudenza eurounitaria, seppur con qualche precisazione ulteriore. In particolare, nel contratto di fideiussione, i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso senza considerare il contratto principale. Ciò non esclude, pertanto, l’applicazione della disciplina “ordinaria”. Infatti, proprio nel caso in esame, la Suprema Corte ha affermato che non fosse qualificabile come consumatore un fideiussore che aveva garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale al medesimo riconducibile sulla scorta di plurimi elementi indiziari. È da escludere, dunque, la sussistenza di un automatismo, dovendosi stabilire, sulla base delle risultanze probatorie acquisite, se la prestazione della garanzia rientri nell’attività professionale del garante o se vi siano collegamenti funzionali che lo leghino alla garantita o se abbia agito per scopi di natura privata.

Profili problematici a latere: cenni

Ben prima che le Sezioni Unite si pronunciassero in via definitiva sull’applicabilità della disciplina consumeristica ai contratti di fideiussione stipulati a garanzia di un credito commerciale, le Corti territoriali si sono trovate ad affrontare le conseguenze pratiche derivanti dall’orientamento delineato dalla giurisprudenza europea.

Sul punto, meritano di essere trattate, seppur brevemente, due problematiche: la prima, di natura oggettiva, relativa alla natura vessatoria della clausola derogatoria della decadenza prevista dall’art. 1957 c.c.; la seconda, di natura soggettiva, connessa alla possibilità o meno di qualificare consumatore il socio fideiussore di un credito contratto dalla società di cui fa parte.

Sotto il primo profilo, l’art. 1957 c.c. prevede una causa di decadenza dalla garanzia fideiussoria ogniqualvolta il creditore, entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, non abbia proposto le sue istanze contro il debitore o non le abbia con diligenza continuate. In termini generali, tale termine decadenziale è liberamente derogabile dalle parti, le quali possono decidere di estenderlo o escluderlo, e può essere oggetto di rinuncia espressa o tacita del fideiussore. Diversamente, quando il garante rivesta la qualità di consumatore, in base all’orientamento prevalente delineato dalle Corti di merito la conclusione di tale accordo derogatorio deve essere necessariamente perfezionata nel rispetto delle forme di tutela non più formali ma sostanziali richieste dal Codice del Consumo, con onere per il professionista di provare che le clausole unilateralmente predisposte siano state oggetto di trattativa[7].

In un recente caso, avente ad oggetto un’opposizione ex art. 645 c.p.c., il Tribunale di Treviso con Sentenza del 28.10.2022 ha revocato il Decreto emesso nei confronti del fideiussore consumatore per essere l’istituto di credito ingiungente decaduto dall’azione ex art. 1957 c.c., ritenendo la clausola di deroga nulla ai sensi degli artt. 33, comma 2, lett. t), e 36 del Codice del Consumo, in quanto limitativa della facoltà del consumatore di opporre al creditore l’eccezione di intervenuta estinzione dell’obbligazione fideiussoria prestata[8]. Infine, la Suprema Corte di Cassazione nella Sentenza del 28.02.2020 n. 5598, quantunque relativa ad un contratto autonomo di garanzia, ha affermato che la clausola di deroga al termine di decadenza previsto dall’articolo 1957 c.c. costituisce clausola vessatoria, con conseguente nullità parziale (rectius di protezione) del contratto.

Con riferimento al problema connesso al secondo profilo, in realtà già la Corte di Giustizia Ue nel citato caso C-74/2015 ha fornito alcune indicazioni di principio affermando che “spetta quindi al giudice nazionale determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata”. Sulla scia di tale indirizzo interpretativo, le Corti territoriali hanno tentato di fornire criteri specifici da applicare al caso concreto.

Ad esempio, il Tribunale di Padova con la Sentenza del 06.04.2021 ha aperto alla possibilità di qualificare consumatore il socio di una società a responsabilità limitata, in quanto tale senza poteri di amministrazione di gestione e non fallibile. Allo stesso modo, il Tribunale di Roma con la Sentenza del 16.06.2021 n. 9561 ha escluso la natura professionale del fideiussore, in quanto la qualifica di socio di una società cooperativa era finalizzata solo all’acquisto di un immobile in costruzione e non anche connessa ad interessi economici legati alla gestione della società. Infine, il Collegio arbitrale di Milano, con Decisione del 27.09.2016 n. 8296 ha affermato la sussistenza della qualità di consumatore al socio che, resosi garante dei debiti della S.r.l., non abbia mai preso parte, neppure minimamente, all’operatività concreta della stessa né abbia ricoperto cariche gestori e o dirigenziali né, ancora, abbia agito quale destinatario di incarichi particolari all’interno dell’organigramma aziendale.

Non mancano, però, pronunce in senso contrario. Ad esempio, il Tribunale di Genova con la Sentenza del 18.01.2022 n. 100 ha ritenuto non applicabile la disciplina consumeristica al ricorrente-fideiussore in quanto la società garantita era inserita in un gruppo di imprese che mettevano a capo anche il garante e, inoltre, il medesimo era socio di maggioranza della società garantita. Allo stesso modo, con la Sentenza del 27.04.2022 n. 248 il Tribunale di Prato ha escluso la qualità di consumatore al socio in quanto rivestiva la qualità di amministratore nella società garantita.

Considerazioni finali

Come evidente, la pronuncia esaminata si colloca in un più ampio contesto giurisprudenziale[9], alimentato per lo più dall’esigenza di far fronte a problematiche non tanto giuridiche quanto economiche e sociali. Si tratta di una tendenza che, di sicuro, non si arresterà a questa pronuncia, essendo necessario chiarire, come osservato, diversi aspetti di rilevanza sotto il profilo pratico. Inoltre, il peso che il mercato consumeristico continua a rivestire, soprattutto con l’incremento spropositato dell’e-commerce, fa ben credere che la tutela del consumo sia destinata a rivestire un ruolo sempre più centrale nelle politiche dell’Unione europea.

 

 

 

 

 

 

 

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]Si fa riferimento all’art. 12 TFUE, laddove si afferma che “nella definizione e nell’attuazione di altre politiche o attività dell’Unione sono prese in considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori”.
[2]L’art. 38 prevede che “Nelle politiche dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori”.
[3]Ex multis, v. Corte di Cassazione, Sez. III, Sent. 20.11.2011 n. 25212.
[4]Corte di Giustizia dell’Ue, Sentenza emessa nella Causa C-45/96.
[5]V. in tal senso anche Sentenza emessa nel caso C-110/14 (Caso Costea), punti 22 e 23.
[6]Ex multis, v. Corte di Cassazione, Sez. VI, Sent. 26.03.2019 n. 8419; Corte di Cassazione, Sez. III, Ord. 13.02.2018 n. 32225.
[7]V. Tribunale di Treviso, Sent. 07.06.2018 n. 1185.
[8]Cfr. anche: Tribunale di Alessandria, Sent. 14.08.2020 n. 480; Tribunale di Catania, Sent. 13.12.2019; Tribunale di Firenze, Sent. 11.12.2019; Tribunale di Firenze, Sent. 7.11.2019; Tribunale di Padova, Sent. 29.1.2019; ABF, Collegio di Milano, 4.7.2019.
[9]V. da ultimo Corte di Cassazione, SS.UU, Sent. 6.4.2023 n. 9479.

 

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