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RESPONSABILITA’ DA COSE IN CUSTODIA
Sezioni Unite della Corte di Cassazione – Ordinanza n. 20943 del 30.06.2022
La verifica del caso fortuito come esimente idonea ad interrompere il nesso di causalità deve essere compiuta su un piano squisitamente oggettivo

 

Con la recente Ordinanza n. 20943 dello scorso 30 giugno, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto un contrasto giurisprudenziale in tema di responsabilità da cose in custodia.

La normativa codicistica

Nell’ambito della c.d. “responsabilità extracontrattuale”, il legislatore, oltre a disciplinare ipotesi in cui la responsabilità risarcitoria viene accollata al danneggiante a prescindere dal fatto che la condotta di quest’ultimo sia connotata da dolo o colpa, ha previsto fattispecie ulteriori di “responsabilità aggravata”, in relazione alle quali si configura una disciplina derogatoria rispetto a quella ordinaria prevista dall’art. 2697 c.c..

In particolare, il danneggiato è gravato soltanto dall’onere di dimostrare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento dannoso, mentre sul danneggiante grava l’onere (ben più oneroso) di provare l’esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale, non essendo sufficiente la sola dimostrazione di aver operato con diligenza, prudenza e perizia. 

Con particolare riferimento alla responsabilità da cose in custodia, l’“elemento ulteriore” è costituito dal c.d. “caso fortuito”. Ed invero, l’art. 2051 c.c. così dispone: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

Il caso fortuito deve essere inteso in senso molto ampio, tale da ricomprendere anche il fatto naturale (la c.d. forza maggiore), il fatto del terzo ed il fatto dello stesso danneggiato, purché costituisca la causa esclusiva del danno (Cass. Civ. n. 26533/2017).

Ponendo l’attenzione sui danni da custodia su beni demaniali, occorre rilevare come, sul tema, si siano contrapposti due orientamenti distinti. 

In forza del primo orientamento, i concessionari di beni demaniali si possono “liberare” dalla propria responsabilità “fornendo la prova del fortuito, consistente non già nella dimostrazione dell’interruzione del nesso di causalità determinato da elementi esterni o dal fatto estraneo alla sfera di custodia (ivi compreso il fatto del danneggiato o del terzo), bensì anche dalla dimostrazione – in applicazione del principio di c.d. vicinanza alla prova – di aver espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa, in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, di vigilanza e manutenzione su di essi gravanti in base a specifiche disposizioni normative […]” (Cass. Civ. n. 2308/2007).

Il secondo e più recente orientamento, invece, sostiene l’assoluta irrilevanza di qualsivoglia profilo di colpa in capo al custode, laddove il danneggiato abbia prospettato e provato il nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso: “la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso” (Cass. Civ. nn. 2480/2018 e 2481/2018).

Il caso di specie

Tre soggetti privati, deducendo di aver subito danni alla loro proprietà per effetto dell’esondazione di un fiume, hanno adito il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte d’Appello di Torin chiedendo la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della Edison S.p.a., che aveva manovrato una diga ivi presente, e dell’Unione dei Comuni montani, quale Ente tenuto alla manutenzione dell’alveo del fiume.

Dopo aver disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di vari soggetti, tra cui il Comune, la Provincia e la Regione, il TRAP adito ha rigettato la domanda, ritenendo sussistente l’eccezionalità dell’evento.

Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha riformato parzialmente la suddetta pronuncia, condannando in solido Edison S.p.a. ed un altro soggetto (realizzatore di un “rilevato” “che aveva impedito l’espansione del fiume (OMISSIS) in sponda sinistra”). Il Giudice di seconde cure, richiamando il primo orientamento sopra illustrato, ha infatti ritenuto erronea la Sentenza del TRAP laddove aveva escluso che i bollettini metereologici regionali potessero assumere rilievo per il gestore della diga con riguardo ai suoi specifici obblighi di custodia: si sarebbe potuto ritenere sussistente il caso fortuito, idoneo ad interrompere il nesso causale, solo in presenza dell’assolvimento degli obblighi previsti – comunicazione alle Prefetture della prevista onda di piena – e non adempiuti da Edison S.p.a.. Detto in altri termini, solo la dimostrazione in merito all’osservanza degli incombenti gravanti sul concessionario avrebbe giustificato l’esonero della responsabilità, anche alla luce del fatto che “le dighe sono impianti che interagiscono con il territorio in modo rilevantissimo, sia dal punto di vista idraulico che ambientale e che i gestori sono tenuti ad un serie di adempimenti volti a garantire la sicurezza delle stesse, essendo inerenti al concetto di custodia di tali beni anche gli interventi tesi a neutralizzare gli elementi pericolosi non arginabili attraverso un’attività preventiva idonea ad evitare danni attinenti alla cosa in custodia”.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a pronunciarsi sulla questione a seguito di ricorso promosso da Edison S.p.a., hanno cassato con rinvio la Sentenza del TSAP.

Per quanto di particolare interesse in questa sede, è stato rilevato come il principio espresso mediante il secondo orientamento illustrato, che esclude la rilevanza di eventuali profili di colpa in capo al “custode”, si sia ormai stabilizzato “nella giurisprudenza della terza sezione, per effetto di Cass. n. 2477/2018 coeva alle […] sentenze nn. 2480 e la n. 2481, come è agevole constatare attraverso le indagini ricostruttive, rilevanti ai fini che qui interessano, svolte da Cass. n. 27724/2018 e, più recentemente, da Cass. n. 4588/2022”.

Pertanto, il TSAP, dopo aver riconosciuto l’incidenza causale sull’evento dannoso della condotta ascrivibile al gestore della diga, “non si è uniformato alla giurisprudenza da ultimo richiamata onde verificare la sussistenza del caso fortuito come esimente idonea ad interrompere il nesso di causalità; verifica che avrebbe dovuto essere compiuta su un piano puramente oggettivo, per accertare se il nesso causale fosse stato eliso da fattori esterni imprevedibili e/o inevitabili e che, invece, ha erroneamente valorizzato profili di natura soggettiva (segnatamente, l’inosservanza del gestore rispetto ad alcuni obblighi di comunicazione alle autorità competenti che, secondo il TSAP, avrebbero potuto integrare, ove il concessionario avesse dimostrato di averli assolti, “l’unica esimente del caso fortuito”), in tal modo inserendo nel paradigma della responsabilità ex art. 2051 c.c. valutazioni sulla condotta del custode che sono ad esso estranee.

In conclusione, la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo e non presunto: sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, rappresentato da un fatto (naturale, del danneggiato o di un terzo) connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, non assumendo alcuna rilevanza la diligenza del custode.

 

 

 

 

 

 

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