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L’ASSUNZIONE DEL PERSONALE NELLE SOCIETÀ IN HOUSE TRA L’EVIDENZA PUBBLICA E LA C.D. CLAUSOLA SOCIALE

 

Nel caso in cui la pubblica amministrazione decida di procedere all’affidamento di servizi pubblici ad una società in house, che subentra ad un operatore privato individuato con precedente procedura a pubblica evidenza, tra le problematiche che si possono riscontrare particolare rilevanza assume il tema dell’assunzione del personale, trattandosi di un punto di convergenza tra normativa pubblicistica, privatistica e giuslavoristica.

Tali criticità trovano origine nel passaggio stesso dalla gestione del soggetto privato, i cui contratti di lavoro prevedevano la c.d. “clausola sociale” (che promuove la stabilità occupazionale del personale già impiegato), ad un regime di affidamento in house di un servizio da parte dei soci pubblici, dunque attribuito senza l’espletamento di una precedente gara pubblica.

Da un lato, è infatti richiesto alla società affidataria di rispettare le previsioni specifiche degli affidamenti in house e che postulano l’applicazione dei principi dell’evidenza pubblica nelle procedure di assunzione. D’altra parte, l’art. 50 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) prevede il rispetto degli obblighi contenuti nel Contratto Collettivo di categoria: qualora questo richieda l’applicazione della c.d. clausola sociale si manifestano però nodi problematici che solo una lettura combinata della normativa vigente e della giurisprudenza può contribuire a sciogliere.

I Contratti Collettivi Nazionali e la tutela dell’occupazione

L’obbligo di inserimento della clausola sociale da parte della stazione appaltante nell’atto di affidamento del servizio prevede che la società subentrante assuma il personale già in forza nell’impresa cessante.

Il CCNL di categoria può declinare variamente tale obbligo, ad esempio prevedendo l’assunzione a tempo indeterminato e senza effettuazione del periodo di prova dei lavoratori già assunti prima dell’inizio della nuova gestione o della scadenza effettiva del precedente contratto di appalto.

Lo scopo di queste previsioni è anche quello di intervenire, a tutela dei lavoratori, in settori produttivi in cui il fenomeno delle esternalizzazioni e della successione di contratti di appalto risulta più diffuso, con la precisazione che le clausole contenute nel CCNL sono opponibili all’impresa subentrante solo qualora anch’essa applichi lo stesso contratto collettivo o altro contratto che contempli analogo obbligo.

Nell’ambito degli appalti pubblici, l’art. 50 del D.Lgs. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) richiede all’amministrazione affidante un servizio con gara pubblica il rispetto della clausola sociale presente nel CCNL. Tale disposizione prevede infatti che “per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 […]”.

Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha contribuito a delineare l’applicazione della clausola sociale, affermando più volte che “l’obbligo di riassorbimento del personale impiegato dal precedente appaltatore deve essere armonizzato con l’organizzazione d’impresa scelta dall’operatore subentrante e non può essere interpretato dalla stazione appaltante in termini rigidamente automatici ed escludenti” (da ultimo: Consiglio di Stato, sez. III, 30.01.2019 n. 750; Consiglio di Stato, sez. V, 28.08.2017 n. 4079; Consiglio di Stato, sez. IV, 2.12.2013 n. 5725).

Ne deriva che il nuovo datore di lavoro deve procedere con l’assunzione sulla base della clausola sociale ben potendo, però, una volta assunto il dipendente, inserirlo nell’organizzazione aziendale in base alle proprie esigenze (e fermo restando il rispetto della normativa giuslavoristica): tale interpretazione intende bilanciare gli interessi contrapposti della tutela del lavoro e della libertà di iniziativa economica dell’impresa.

Specificità del regime in house in ordine ai rapporti di lavoro

ed all’assunzione del personale

Si rammenta che la società in house è caratterizzata dalla presenza del c.d. “controllo analogo” che l’amministrazione proprietaria esercita su di essa, disponendone come di una propria articolazione interna, di una longa manus. In giurisprudenza è stato rilevato come l’affidamento pubblico mediante in house contract non consente propriamente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo: la società in house non può ritenersi terza rispetto all’amministrazione controllante bensì deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa (ex multis: Consiglio di Stato, Ad. Plen., 3.3.2008 n. 1).

La disciplina dei rapporti di lavoro da applicare ai dipendenti delle società in house è ovviamente quella prevista dal diritto privato, come ribadito dai principi contenuti nel Codice civile agli artt. 2093 e 2129, a norma dei quali le disposizioni relative al rapporto di lavoro nell’impresa si applicano anche agli enti pubblici in mancanza di deroghe o comunque nel caso in cui questi ultimi esercitino un’attività imprenditoriale.

Criticità sorgono invece, come rilevato, nella fase di reclutamento del personale, dovendosi applicare in capo ai dipendenti delle società partecipate da pubbliche amministrazioni e/o in house le disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni, contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva.

A tal proposito, il Legislatore con il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (D.Lgs. n. 175/2016) ha operato una spinta “pubblicistica” (o di “moralizzazione”) in materia di assunzioni, già caldeggiata da precedente giurisprudenza contabile, disponendo all’art. 19 che:

2) Le società a controllo pubblico stabiliscono, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all’articolo 35, comma 3, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 […]

4) Salvo quanto previsto dall’articolo 2126 del Codice civile, ai fini retributivi, i contratti di lavoro stipulati in assenza dei provvedimenti o delle procedure di cui al comma 2, sono nulli. Resta ferma la giurisdizione ordinaria sulla validità dei provvedimenti e delle procedure di reclutamento del personale”.

L’espresso riferimento al comma 3 dell’articolo 35 del D.Lgs. n. 165/2001[1] comporta che i principi cui si conformano le procedure di reclutamento nella pubblica amministrazione – pubblicità, imparzialità, economicità, decentramento delle procedure selettive, celerità, adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, rispetto delle pari opportunità di genere, professionalità ed indipendenza delle Commissioni esaminatrici – sono dunque pienamente applicabili alle procedure di selezione finalizzate all’assunzione del personale attuate dalle società a controllo pubblico e/o in house.

La giurisprudenza in materia

Proprio con riferimento all’applicabilità del secondo comma dell’art. 19 del D.Lgs. n. 175/2016 rispetto al “canale preferenziale” delle clausole sociali si è espressa la giurisprudenza contabile, pronunciandosi in ordine alla nullità dei contratti di lavoro stipulati in violazione di suddette previsioni e mettendo dunque in relazione il Testo Unico suddetto con i Contratti Collettivi Nazionali.

Infatti, è stato sottolineato come il ricorso alle clausole sociali: “non può essere utilizzato come strumento per eludere il rispetto dei principi dell’evidenza pubblica previsti in materia di assunzioni da parte delle società a partecipazione pubblica, che trovano diretto fondamento nell’articolo 97 della Costituzione” (Corte dei Conti Liguria n. 14/2019).

In particolare, in caso di affidamento in house di un servizio pubblico locale in precedenza svolto da una società privata (aggiudicataria di precedente gara pubblica), la società affidataria non può assumere direttamente il personale “ma deve procedervi previa definizione, nel regolamento interno, di criteri e modalità (aventi eventualmente fonte nel contratto collettivo nazionale di riferimento) che garantiscano, come imposto all’amministrazione pubblica socia, imparzialità e trasparenza nell’individuazione dei lavoratori da assumere” (Corte dei Conti Lombardia con sentenza n. 184/2017).

D’altra parte, la giurisprudenza amministrativa non ravvisa contrasti tra l’applicazione della clausola sociale (laddove esistente) ed i principi in materia di reclutamento del personale nelle società a partecipazione pubblica, posto che il Consiglio di Stato ha affermato che questi ultimi non vengono violati qualora si proceda con l’assunzione “a tempo indeterminato dei dipendenti in servizio presso il gestore uscente in asserita applicazione della c.d. clausola sociale […] se l’assunzione avviene per la durata del servizio svolto dalla società in house e questo anche se il rapporto sia stato definito a tempo indeterminato in quanto l’apposizione di un termine definitivo di risoluzione del rapporto fuga qualsiasi dubbio di assunzione a tempo indeterminato” (Consiglio di Stato, sez. V, 11.12.2018 n. 5853).

In attuale mancanza di significative pronunce del giudice del lavoro, è possibile pertanto che quest’ultimo, decidendo una eventuale controversia insorta a seguito di mancata applicazione della clausola sociale in occasione dell’assunzione di dipendenti in una società in house (nuova affidataria in via diretta di un servizio), privilegi gli interessi dei lavoratori (già assunti presso l’operatore privato affidatario del servizio con gara pubblica)  sottesi alla clausola sociale, come già implicitamente affermato dal Consiglio di Stato, anche se, comunque, non è possibile “neppure nel caso si tratti di società partecipate, che la forma privata della regolamentazione del rapporto di lavoro travalichi principi a tutela del contenimento della spesa per la corretta gestione delle casse pubbliche, se non – in ipotesi – nei casi espressamente previsti da leggi o fonti comunque generali” (Tribunale di Grosseto, sez. Lavoro, con sentenza 16.09.2020 n. 137).

Conclusioni

Gli approdi giurisprudenziali nell’interpretazione della vigente normativa mostrano come la materia in esame sia ancora passibile di diverse interpretazioni, anche se alcuni punti fermi possono essere individuati.

La pubblica amministrazione deve infatti, in ogni caso, agire in conformità con il disposto dell’art. 19 del Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (D.Lgs. n. 175/2016) procedendo a selezioni pubbliche di personale, mediante l’adozione di un regolamento interno, come richiesto dalla giurisprudenza contabile, contenente criteri e modalità (aventi eventualmente fonte nel Contratto Collettivo Nazionale di riferimento) che garantiscano, come imposto all’amministrazione pubblica socia, imparzialità e trasparenza nell’individuazione dei lavoratori da assumere (richiedendo ad esempio, in caso di assunzione da parte di società in house di personale dipendente del gestore uscente, il possesso di specifici titoli da prendersi in considerazione qualora i candidati superino le prove di selezione).

In attesa di vagliare i possibili ulteriori arresti giurisprudenziali in materia, è dunque necessario, per le società pubbliche partecipate e/o comunque in house, presidiare l’applicazione dei principi delle procedure ad evidenza pubblica in caso di assunzione di personale dipendente, ma anche dare priorità alla tutela occupazionale in caso di sussistenza di clausola sociale nei contratti dei lavoratori del gestore uscente del servizio affidato in via diretta, dai soci pubblici, alla società in house medesima.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1] “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.

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