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La fiscalizzazione dell’abuso edilizio

 

L’art. 34, comma 2, D.P.R. 380/2001

LA DISCIPLINA

L’istituto della fiscalizzazione dell’abuso edilizio è disciplinato dall’art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, rubricato “Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”, che così dispone:
“1. Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell’abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell’ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell’abuso.
“2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.
2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all’articolo 23, comma 1, (n.d.r. si tratta degli interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività in alternativa al permesso di costruire) eseguiti in parziale difformità dalla segnalazione di inizio attività.”
La norma disciplina il regime sanzionatorio delle opere e degli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire.
Le fattispecie interessate riguardano gli interventi costruttivi realizzati secondo modalità diverse da quelle consacrate a livello progettuale (ad esempio immobili che presentano un aumento della superficie o dei volumi rispetto al progetto assentito dal titolo edilizio rilasciato), per cui tali interventi risultano abusivi e dovrebbero essere rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell’illecito entro il termine congruo fissato dall’ordinanza comunale di demolizione.
Tuttavia, se la demolizione delle parti abusive non potesse aver luogo senza recare un pregiudizio statico-edilizio per la parte dell’edificio conforme, l’art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede la facoltà di avvalersi della cosiddetta fiscalizzazione dell’illecito edilizio che consiste in una sanzione pecuniaria alternativa rispetto a quella demolitivo-restitutoria, in presenza di determinati requisiti:
• un’opera che presenta una parziale difformità rispetto al permesso di costruire rilasciato;
• preventiva emanazione dell’ordine di demolizione;
istanza di fiscalizzazione presentata da parte del destinatario dell’ordine;
impossibilità materiale di demolire la parte abusiva e, quindi, di ripristinare lo stato dei luoghi, che si configura solo quando la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell’edificio nel suo complesso legittimamente realizzato.
In particolare, in tali casi, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione della porzione dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, calcolato in base alla Legge 27 luglio 1978 n. 392, qualora si tratti di edificio ad uso residenziale, oppure pari al doppio del valore venale della parte dell’opera eseguita in difformità dal permesso di costruire, in base alla stima effettuata dell’Agenzia del Territorio, qualora si tratti di opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.
La fiscalizzazione, configurandosi quale sanzione pecuniaria, costituisce, pertanto, una deroga alla regola generale della demolizione negli illeciti edilizi che può trovare applicazione unicamente, qualora, in caso di interventi eseguiti in parziale difformità, sia oggettivamente impossibile effettuare la demolizione delle parti difformi senza incidere sulla stabilità dell’intero edificio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 novembre 2018 n. 6658).

Ambito di applicazione:
le ipotesi di difformità parziale dal permesso di costruire.

Il presupposto fondamentale per l’emanazione del provvedimento di fiscalizzazione è costituito dall’avvenuta realizzazione di opere in parziale difformità dal permesso di costruire come rilasciato.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la nozione di “opera eseguita in parziale difformità” individua una categoria residuale e presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio, sia stato realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale; inoltre: “In base alla norma, infatti, mentre si è in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, quando i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera” (cfr. Consiglio di Stato n. 1484 del 2017).
A titolo esemplificativo, nel concetto di difformità parziale sono stati fatti rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza, nonché i modesti aumenti di altezza di piano rispetto alla consistenza dell’edificio originariamente progettato e la diversa conformazione delle tramezzature interne (cfr. T.A.R. Campania-Napoli n. 2931/2017; T.A.R. Campania-Salerno n. 784/2017).
Inoltre, l’art. 34-bis del D.P.R. n. 380 del 2001, introdotto recentemente con la Legge 11 settembre 2020 n. 120 (di conversione del c.d. Decreto Semplificazioni), ha precisato la soglia di rilevanza minima delle variazioni non costituenti illecito edilizio: “1. Il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo.”
Si tratta di scostamenti dai parametri autorizzati di misura talmente contenuta da non potere essere considerati un illecito edilizio; oltre questa soglia si ha abuso edilizio.

Il procedimento sanzionatorio:
l’ordinanza di demolizione e la sanzione pecuniaria

Sotto il profilo procedimentale, una volta constatato l’abuso edilizio il Comune emana l’ordinanza di demolizione con cui dispone che gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire siano rimossi o demoliti, a cura e spese del responsabile dell’abuso, entro il termine congruo fissato nella medesima ordinanza
Il destinatario dell’ordine, conseguentemente, può valutare se demolire le opere risultate abusive e, laddove ritenga di non demolire tali opere, può segnalare al Comune, ai sensi dell’art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001, che la demolizione d’ufficio comporterebbe il pregiudizio della staticità dell’intero edificio e, dunque, chiedere che sia irrogata la sanzione pecuniaria pari al doppio con i parametri ivi individuati.
Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, esaminata la domanda, respinge l’istanza qualora non risultino sussistenti i due presupposti previsti dalla Legge (cioè la parziale difformità di quanto realizzato rispetto ai titoli conseguiti, e il pregiudizio per la staticità, di cui al comma 2 dell’art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001), mentre accoglie l’istanza e dispone il pagamento della sanzione pecuniaria qualora motivatamente risulti, sulla base di accertamenti obiettivi, che sussiste la parziale difformità e che la demolizione degli abusi pregiudichi la staticità strutturale dell’intero edificio (cfr. T.A.R. Campania-Salerno, Sez. II, n. 119 del 15.01.2021; Consiglio di Stato, Sez. VI, 26.10.2020 n. 6492; T.A.R. Campania-Napoli, Sez. VI, 03.04.2020 n.1318).
Spetta quindi al privato interessato dedurre lo stato di pericolo per la stabilità dell’edificio sulla base di un motivato accertamento tecnico.
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa chiarisce: «Il privato sanzionato con l’ordine di demolizione per la costruzione di un’opera edilizia abusiva non può invocare l’applicazione a suo favore della disposizione oggi contenuta nell’art. 34, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001 se non fornisce seria ed idonea dimostrazione del pregiudizio stesso sulla struttura e sull’utilizzazione del bene residuo, con la precisazione che l’applicazione della sanzione pecuniaria è innescata da un’istanza presentata a tal fine dall’interessato e non già da una verifica tecnica di cui la parte pubblica non può venire ragionevolmente gravata, essendo proprio la parte privata, autrice dell’opera e del progetto, ad essere a conoscenza di come esso è stato eseguito e di quali danni potrebbero prodursi, a seguito di demolizione, in pregiudizio della parte conforme (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 15 gennaio 2015 n. 233)” (cfr. T.A.R. Lazio-Latina, Sez. I, 14 febbraio 2017 n. 95).

GLI EFFETTI DELLA FISCALIZZAZIONE

In dottrina non è sussistita, in origine, unanimità di vedute relativamente agli effetti prodotti dalla fiscalizzazione dell’opera abusiva mediante il pagamento della sanzione.
Secondo un orientamento, infatti, l’applicazione della sanzione pecuniaria al posto della misura reale demolitoria comporta un duplice effetto:
a) la sanatoria urbanistico-edilizia dell’opera che viene così legalizzata;
b) la sanatoria igienico-sanitaria dell’abuso (1).
Secondo un diverso orientamento, molto più corretto, pur a seguito dell’irrogazione della sanzione pecuniaria le opere restano in ogni caso abusive, posto che è illogica l’attribuzione di effetto sanante ad una sanzione e non ad un provvedimento abilitativo, sia pure successivo (2).
La giurisprudenza amministrativa aderisce a quest’ultimo orientamento dottrinale: in particolare, si afferma che il pagamento della sanzione pecuniaria impedisce che le opere abusive possano essere demolite ma non ne rimuove il carattere antigiuridico, sicché l’edificio permane in una condizione di illiceità che, seppur “urbanisticamente tollerata”, non può dirsi equivalente allo status posseduto da un immobile oggetto di sanatoria (Consiglio di Stato, Sez. IV, 29 settembre 2011 n. 5412; Consiglio di Stato, sez. V, 30 ottobre 1995 n. 1520; T.A.R. Valle D’Aosta, 13 marzo 2013 n. 12; T.A.R. Piemonte, 27 settembre 2012 n. 1005): “la riconosciuta possibilità di procedere alla c.d. ‘fiscalizzazione’ consegue, per espressa previsione di legge, alla circostanza per cui “la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità”, senza che tale riconoscimento comporti una sorta di sanatoria ex post degli interventi abusivi ovvero un accertamento di conformità assimilabile a quello previsto dal successivo articolo 36 del medesimo d.P.R. 380 del 2001” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2016 n. 352).
Anche la giurisprudenza penale condivide questo indirizzo, laddove si afferma che “il provvedimento adottato dall’autorità amministrativa a norma dell’art. 34, comma 2, citato trova applicazione solo per le difformità parziali e, in ogni caso, non equivale ad una sanatoria, atteso che non integra una regolarizzazione dell’illecito e, in particolare, non autorizza il completamento delle opere, considerato che le stesse vengono tollerate, nello stato in cui si trovano, solo in funzione della conservazione di quelle realizzate legittimamente (così, Cass. pen., Sez. III, n. 19538 del 22 aprile 2010, Alborino, Rv. 247187. Conf. Cass. pen., Sez. III, n. 24661 del 15 aprile 2009, Ostuni, Rv. 244021; Cass. pen., Sez. III, n. 13978 del 25 febbraio 2004, Tessitore, Rv. 228451)” (Cass. Pen., Sez. III, 21 giugno 2018 n. 28747).

CONCLUSIONI

Il perdurante carattere abusivo dell’opera, nonostante il pagamento della sanzione di cui all’art. 34, comma 2, del D.P.R. 380/2001, determina significative conseguenze circa l’uso ed il trasferimento dell’immobile fiscalizzato ad un soggetto terzo.
Il pagamento della sanzione pecuniaria non consente di rimuovere l’abuso edilizio, lasciando immutata la valenza antigiuridica del manufatto realizzato, permanendo lo status di res illegittima. Pertanto, si configura una categoria di beni che, pur urbanisticamente tollerati, non sono ammessi ad una legittimazione successiva e rispetto ai quali il legislatore mantiene il contrasto formale e sostanziale con la normativa urbanistica.
La fiscalizzazione, infatti, permane una sanzione e non produce effetti sananti sull’abuso.
Dunque, la fiscalizzazione dell’opera abusiva non autorizza il completamento o l’uso della medesima opera; a procedura completata, in caso di nuovi e successivi lavori di completamento inerenti le parti abusive dell’immobile, oggetto di fiscalizzazione, nonché in caso di utilizzo a qualunque fine di dette parti abusive, il privato sarà nuovamente passibile delle sanzioni amministrative di cui all’art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001.

Studio Legale Dal Piaz

 

(1) FALCONE, Sanzioni amministrative, in Falcone – Mele, Urbanistica e appalti nella giurisprudenza, Milano, 2000, 828; MENGOLI, Manuale di diritto urbanistico, Milano, 2003, 1121.

(2) [1] ASSINI – MARINARI, Concessione edilizia ed abusi, Padova, 1987, 113; TORREGRESSA – SANDULLI – BELLOMIA, Sanzioni urbanistiche e recupero degli insediamenti e delle opere abusive, Milano, 1985, 88.

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