Secondo il recente Parere di Precontenzioso ANAC n. 101 del 28 febbraio 2024, “l’assenza di chiare indicazioni normative e di orientamenti giurisprudenziali consolidati circa i rapporti tra la normativa sull’equo compenso di cui alla L. 49/2023 e le procedure di gara dirette all’affidamento di servizi di ingegneria e architettura impedisce che possa operare il meccanismo dell’eterointegrazione del bando di gara e che, per tale via, possa essere disposta l’esclusione di operatori economici che abbiano formulato un ribasso tale da ridurre la quota parte del compenso professionale”.
Il Parere ANAC n. 101/2024
Nella fattispecie, l’ANAC è stata chiamata a stabilire se, in una procedura di gara finalizzata all’affidamento di servizi di ingegneria e architettura, l’operatore economico che abbia formulato una percentuale di ribasso che intacca anche il compenso professionale (oltre che le spese) sia da considerarsi anomala, e dunque da escludere, per violazione della normativa in tema di equo compenso.
Rileva l’Autorità che il tema dei rapporti tra la normativa sull’equo compenso di cui alla L. 49/2023 e la disciplina recata dal Codice dei contratti in tema di appalti di servizi di ingegneria e architettura ha suscitato e continua a suscitare dubbi e perplessità. L’Autorità, consapevole delle difficoltà interpretative, in data 07.07.2023 ha segnalato la questione alla Cabina di Regia, al Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri e, per conoscenza, al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, evidenziando la necessità di chiarire se attraverso la Legge 49/2023 il legislatore abbia reintrodotto dei parametri professionali minimi e, in caso positivo, quale possa essere il ribasso massimo che conduce a ritenere il compenso equo nell’ambito delle procedure di affidamento dei servizi di ingegneria e di architettura. Nel citato documento l’Autorità ha illustrato tre possibili soluzioni, riprodotte poi nel testo del bando tipo n. 2/2024 in consultazione, ovvero:
- procedure di gara a prezzo fisso, con competizione limitata alla sola parte tecnica;
- procedure di gara da aggiudicare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in cui l’importo a base d’asta è limitato alle sole spese generali;
- inapplicabilità della disciplina dell’equo compenso alle procedure di evidenza pubblica, con conseguente ribassabilità dell’intero importo posto a base di gara.
Il bando di gara oggetto del parere è risultato aderente all’ultima delle predette soluzioni: l’articolo 18 del disciplinare stabiliva infatti che “La ditta concorrente, a pena di esclusione, deve compilare il modello di offerta economica proposto dal Sistema indicando il ribasso percentuale offerto sul prezzo a base d’asta…” e l’importo a base di gara, definito all’art. 3 del disciplinare in applicazione del D.M. 17 giugno 2016, è pari alla somma dei compensi professionali e delle spese generali; pertanto, nel caso di specie, in presenza di un quadro normativo poco chiaro, l’ANAC ha ritenuto che la stazione appaltante abbia legittimamente esercitato la sua discrezionalità in coerenza con i principi che regolano l’evidenza pubblica, come positivizzati negli artt. 1, 2 e 3 D.Lgs. 36/2023.
Quindi, secondo l’ANAC, l’evidenziata incertezza circa le modalità applicative della normativa sull’equo compenso nelle procedure di gara dirette all’affidamento di servizi di ingegneria e architettura, unitamente ai
principi della certezza del diritto, del legittimo affidamento e dell’autovincolo, impedivano l’eterointegrazione del bando di gara e, dunque, la possibilità di escludere i partecipanti per aver presentato un’offerta che, perfettamente aderente ai contenuti della lex specialis, era però non conforme alla L. 49/2023.
La pubblicazione del Parere di Precontenzioso ANAC n. 101 del 28 febbraio 2024 ha destato, però, un acceso dibattito tra gli interpreti.
In merito, già nel precedente articolo pubblicato su queste News il 21.11.2023 è stata rilevata l’esigenza di coordinare la disciplina dell’equo compenso con le norme contenute, in materia di prestazioni intellettuali, nel vigente Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 36/2023).
Le norme in conflitto
Il nucleo centrale della questione, come noto, è sintetizzabile nei seguenti termini.
L’art. 8, comma 2, del D.Lgs. 36/2023 consente alla P.A., a seguito di una valutazione discrezionale opportunamente motivata, di derogare il principio dell’equo compenso delle prestazioni professionali.
In connessione con tale disposizione, l’articolo 41, comma 15, D.Lgs 36/2023 rinvia all’Allegato I.13 ai fini della determinazione dei corrispettivi per le fasi progettuali da porre a base degli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura. La stessa disposizione prevede che tali corrispettivi (individuati dal “Decreto Parametri” D.M. 17.06.2016) sono utilizzati dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara dell’affidamento.
Il Codice dei contratti pubblici prevede che i corrispettivi definiti dall’Allegato I.13 sono funzionali esclusivamente a determinare l’importo da porre a base di gara, che quindi può essere oggetto di ribasso da parte dei concorrenti.
Al contrario, la L. 49/2023 (sull’equo compenso delle prestazioni professionali) introduce il principio che il compenso da riconoscere ai professionisti per l’opera prestata deve essere equo e proporzionato, prevedendo la nullità delle clausole che stabiliscono un compenso che non rispetti tali criteri. Infatti, ai sensi dell’art. 3 L. n. 49/2023, sono nulle le clausole che determinano un compenso non in linea con i parametri definiti dagli ordini e collegi professionali, stabiliti con Decreto Ministeriale.
In sostanza, i corrispettivi definiti con il Decreto Ministeriale – come rivisto e adattato dall’Allegato I.13 – sono:
- considerati dal D.Lgs. 36/2023 come importi da porre a base di gara, e come tali suscettibili di ribasso quantunque a seguito di opportuna valutazione che la stazione appaltante deve specificatamente motivare;
- considerati dalla L. 49/2023 come minimi inderogabili, assolutamente non ribassabili in quanto l’affidamento dei servizi di progettazione deve avvenire necessariamente sulla base del corrispettivo definito dal Decreto Ministeriale.
Le interpretazioni
La lettura coordinata delle due normative citate non è quindi un’operazione agevole, anche alla luce del divieto di abrogazione implicita previsto dall’articolo 227 del D.lgs 36/2023 per cui: «Ogni intervento normativo incidente sulle disposizioni del codice e dei suoi allegati, o sulle materie dagli stessi disciplinate, è attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in essi contenute».
Facendo leva su tale disposizione, alcuni interpreti hanno avanzato la tesi secondo cui, in coerenza con l’espressa formulazione della Legge sull’equo compenso, quest’ultima debba trovare applicazione esclusivamente in relazione alle prestazioni professionali che si inquadrano nell’ambito del contratto d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 del Codice Civile. Al contrario, la stessa disciplina non troverebbe applicazione agli appalti di servizi, che sono la tipologia contrattuale oggetto di affidamento ai sensi del D.Lgs.36/2023.
Tale interpretazione, però, è manifestamente in contrasto con la L. 49/2023, che dispone testualmente (all’art. 2, comma 3) che le norme sull’equo compenso si applicano anche alle prestazioni rese dai professionisti in favore della Pubblica Amministrazione e delle società partecipate dalla P.A. soggette alla disciplina del T.U.S.P..
Di contro, i Consigli Nazionali degli Ingegneri e degli Architetti hanno sottolineato come la portata del Parere di Precontenzioso n. 101 del 28.02.2024 debba necessariamente intendersi circoscritta al caso oggetto di scrutinio da parte dell’Autorità.
Nel comunicato del 14.03.2024, in particolare, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI) ha respinto tutte le interpretazioni volte a considerare il Parere ANAC come un “via libera” alle gare senza l’applicazione dell’equo compenso, in quanto la L. 49/2023 prevede in maniera chiara che i ribassi si possono applicare soltanto alla componente delle spese e non al compenso professionale di chi si occupa della progettazione.
Secondo il CNI, il Parere ANAC si riferisce ad un caso del tutto particolare nel quale, a fronte di una lacuna della lex specialis sull’applicazione dell’equo compenso, l’Autorità ha concluso solamente come non sia possibile attivare il meccanismo di eterointegrazione del bando di gara. D’altra parte, la L. 49/2023 prevede che, a fronte di un ribasso eccessivo, non è nullo il contratto ma solo la clausola del valore e, di conseguenza, la gara non può essere annullata ma impugnata a posteriori dall’aggiudicatario in sede civile.
La Legge è, dunque, esplicita nello stabilire che le norme sull’equo compenso si applichino alle P.A. e che non sono valide le clausole che introducono ribassi sulla base d’asta e neanche sull’esito della gara: un’interpretazione difforme, a parere del CNI, correrebbe il rischio di produrre un impatto negativo sulla qualità delle opere pubbliche, in quanto “L’Italia rischia di perdere un intero settore, quello dell’ingegneria civile, perché nessuno è più disponibile ad assumersi responsabilità (civili, penali, amministrative, talvolta erariali) a fronte di compensi sempre più esigui e complessità progettuali crescenti”[1].
Analogamente, il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC) ha osservato come il Parere ANAC sia stato richiesto da un’impresa partecipante a una gara di appalto per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria svolta secondo il vecchio Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) e precedente l’introduzione della disciplina dell’equo compenso: si tratta, dunque, di un caso particolare nel quale l’Autorità ha ritenuto che quello specifico bando fosse legittimo e che la non applicabilità dell’equo compenso non avrebbe potuto in ogni caso mutare l’esito della gara in virtù del punteggio attribuito alle offerte tecniche dei partecipanti. Conseguentemente, il Parere ANAC non può essere applicato per analogia ad altre situazioni e per i bandi che applicano il nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 36/2023). Il Parere avrebbe, quindi, efficacia, temporalmente e esclusivamente, per il caso di specie: “E non potrebbe essere diversamente, considerato che non potrebbero essere introdotte interpretazioni che non tengano conto sia del nuovo regime normativo, sia del valore e della complessità del lavoro svolto dai professionisti nella attività di progettazione nelle gare pubbliche, e dei relativi costi che occorre sopportare”[2].
L’equo compenso, secondo il CNAPPC, rappresenta infatti un principio fondamentale per garantire la qualità e l’innovazione nell’ambito dell’architettura e della progettazione.
Equo compenso e professione forense
In attuazione della L. 49/2023, il Consiglio Nazionale Forense (CNF) ha approvato nella seduta del 23.02.2024 una nuova norma al Codice Deontologico Forense riguardante l’equo compenso per gli avvocati.
Il nuovo art. 25 bis del Codice Deontologico Forense dispone che: “L’avvocato non può concordare o preventivare un compenso che, ai sensi e per gli effetti delle vigenti disposizioni in materia di equo compenso, non sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta e non sia determinato in applicazione dei parametri forensi vigenti”. La violazione della norma comporterà l’applicazione in sede disciplinare della sanzione della censura.
L’altro obbligo deontologico previsto dal nuovo art. 25 bis impone all’avvocato, nei casi in cui stipuli una qualsiasi forma di accordo con il cliente, di avvertirlo per iscritto che il compenso per la prestazione professionale deve rispettare i criteri stabiliti dalla Legge, a pena di nullità della pattuizione. In caso di violazione di questa seconda previsione, l’avvocato sarà passibile della sanzione disciplinare dell’avvertimento.
Tale norma si aggiunge al disposto dall’art. 13-bis della L. 247/2012 (Legge sull’ordinamento della professione forense come novellata a seguito delle modifiche apportate con L. 172/2017), sull’equo compenso per gli avvocati e per i professionisti che rendono la propria opera nei confronti di imprese bancarie e assicurative considerate quali “contraenti forti”, allo scopo di evitare la possibilità di negoziare prestazioni professionali a prezzi molto bassi e di disincentivare fenomeni di accaparramento della clientela a discapito della qualità del servizio.
Anche in questo caso è interessante notare l’esplicita applicabilità delle previsioni sull’equo compenso ai rapporti con la Pubblica Amministrazione: “3. La pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”. (articolo 19-quaterdecies, comma 3, D.L. 16 ottobre 2017 n. 148, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 2017 n. 172).
La disciplina dell’equo compenso è dunque rivolta a tutelare la posizione del professionista debole (attraverso la disciplina dell’ordinamento della professione forense) e l’indipendenza, la dignità e il decoro della categoria professionale, la quale si realizza attraverso il rispetto dei precetti contenuti nel Codice Deontologico, che impongono al professionista di non offrire la propria prestazione in cambio di compensi lesivi della dignità e del decoro professionale ai sensi del nuovo art. 25 del Codice Deontologico Forense.
Sulla legittimità della normativa nazionale in materia di onorari degli avvocati si segnala la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea 25 gennaio 2024 a seguito della domanda di pronuncia pregiudiziale promossa dal Tribunale distrettuale di Sofia nel procedimento Em akaunt BG ЕООD c. Zastrahovatelno aktsionerno druzhestvo Armeets AD (causa C-438/22). Tale pronuncia è attualmente al centro di un importante dibattito teso ad analizzare il possibile impatto del diritto europeo sulla disciplina italiana in materia di equo compenso.
Nel procedimento principale si era posto il problema se il giudice nazionale potesse ridurre l’importo degli onorari richiesti dall’avvocato per una prestazione professionale (e posti materialmente a carico della parte soccombente di un giudizio, che non aveva sottoscritto alcun contratto di servizio o pattuito gli onorari) in deroga ai minimi tariffari stabiliti dal regolamento del Consiglio superiore dell’ordine forense bulgaro, disapplicando, per l’effetto, la legge nazionale sulla professione forense (che, come detto, delega il predetto Consiglio a definire l’importo degli onorari, fornendo con ciò una copertura legislativa alle relative determinazioni), sul presupposto del suo potenziale contrasto con le regole in materia di concorrenza stabilite dagli artt. 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Sul punto, la Corte, in forza di una giurisprudenza costante, ha avuto ribadito che «il principio del primato del diritto dell’Unione impone al giudice nazionale incaricato di applicare […] le disposizioni del diritto dell’Unione, qualora non possa effettuare un’interpretazione della normativa nazionale conforme alle disposizioni di diritto dell’Unione, l’obbligo di garantire la piena efficacia delle disposizioni di tale diritto nella controversia di cui è investito, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi normativa o prassi nazionale, anche posteriore, che sia contraria a una disposizione del diritto dell’Unione dotata di efficacia diretta, senza dover chiedere o attendere la previa rimozione di tale normativa o di tale prassi nazionale in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale».
La posizione della Corte di Giustizia è in linea con il suo precedente orientamento, che considera la fissazione di minimi tariffari, laddove non giustificata da obiettivi legittimi di pubblico interesse, un’indebita restrizione alla libera concorrenza. Nel caso di specie, tuttavia, la Corte ha anche considerato che il Consiglio superiore dell’ordine forense della Bulgaria, i cui membri sono tutti avvocati eletti dai loro colleghi, agisce, in assenza di qualsiasi controllo da parte delle autorità pubbliche e di disposizioni idonee a garantire che esso si comporti quale emanazione della pubblica autorità, come un’associazione di imprese, ai sensi dell’articolo 101 TFUE, quando adotta i regolamenti diretti alla fissazione degli importi minimi degli onorari forensi. Proprio in ragione della particolare natura dell’organo emanante, quindi, le decisioni da esso adottate equivalgono «alla determinazione orizzontale di tariffe minime imposte» e sono, quindi, sicuramente vietate dall’art. 101, par. 1, TFUE, in quanto qualificabili alla stregua di «restrizioni per oggetto», idonee a rivelare «un grado sufficiente di dannosità nei confronti della concorrenza, a prescindere dal livello a cui è fissato il prezzo minimo», e non ammettono, per loro natura, alcuna giustificazione per il perseguimento di obiettivi legittimi.
Tale specifica considerazione consente di mantenere un’opportuna distinzione tra la fattispecie oggetto della sentenza in commento e quella dell’equo compenso prevista dalla L. 49/2023 italiana, in quanto, nel primo caso, la Corte ha censurato non solo l’astratta inderogabilità alla previsione di un importo minimo per gli onorari di avvocato ma, soprattutto, l’attribuzione della potestà di fissazione del predetto importo a un organo equiparabile a un’associazione di imprese.
Infatti, a differenza che nel caso analizzato dalla Corte di Giustizia, la normativa italiana affida a un soggetto pubblico, e non a un’associazione di categoria, la definizione dei parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti.
Appare, inoltre, decisiva la diversa ratio sottesa ai parametri rispetto a quella che caratterizzava le abolite tariffe professionali. Mentre queste ultime erano, infatti, ispirate a una logica esclusiva di tutela del carattere professionale della prestazione (principio certamente rilevante sul piano ordinamentale, ma non al punto di costituire un’autonoma causa di giustificazione ai sensi dell’articolo 101 TFUE), l’equo compenso persegue un diverso e più composito interesse pubblico, quello cioè di assicurare il giusto equilibrio tra le posizioni contrattuali del professionista e del committente ove quest’ultimo eserciti un’attività di impresa, ovvero sia una Pubblica Amministrazione o una Società a partecipazione pubblica disciplinata dal T.U.S.P., tenuto conto dello sbilanciamento delle predette posizioni che caratterizza, in astratto, i rapporti di incarico professionale in simili contesti.
Considerazioni conclusive
E’ innegabile che le novità normative intervenute con la L. 49/2023 e le previsioni inserite nel nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 36/2023) hanno inteso valorizzare la cogenza del principio dell’equo compenso, divenuto ormai un istituto di carattere generale nell’ambito del comparto di tutte le professioni intellettuali.
La portata del Parere di precontenzioso ANAC n. 101/2024, pertanto, deve essere opportunamente circoscritta perché rischierebbe di relegare la Legge sull’equo compenso ai soli rapporti contrattuali stipulati “iure privatorum” ponendosi in contrasto con il chiaro dettato normativo rappresentato nella stessa L. 49/2023 all’art. 2, comma 3.
Al tempo stesso, la nuova normativa, ed il contrasto tra le norme evidenziato, sollevano importanti interrogativi, che il legislatore deve risolvere al più presto, in merito alla necessità di definire il delicato bilanciamento tra concorrenza ed equilibrio del compenso negli incarichi, concernenti prestazioni intellettuali, conferiti dalla Pubblica Amministrazione.
Studio Legale DAL PIAZ
[1] Comunicato stampa CNI 14.03.2024.
[2] Comunicato stampa CNAPPC 15.03.2024.