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Il D.L. n. 152/2021 e l’istituto dell’interdittiva antimafia: attenuazione del c.d. “ergastolo imprenditoriale” ed innovazione con la c.d. “prevenzione collaborativa”.

 

Le recenti modifiche normative in materia di “documentazione antimafia” sembrano essere state suggerite dal principio della “ragionevolezza”. Infatti, in una cornice giuridica che ormai da decenni lasciava piuttosto stupiti gli esperti, il legislatore ha inteso intervenire sul Codice Antimafia(CAM – D.Lgs. 6 settembre 2011 n. 159)mediante il D.L. n. 152/2021 (convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021 n. 233)con approccio equilibrante tra due esigenze fortemente avvertite: garantire le condizioni costituzionali di libertà di iniziativa e di esercizio di un’attività economica e la necessità di mantenere costante l’azione di prevenzione e di contrasto dell’infiltrazione mafiosa.

È per i suddetti motivi che il legislatore ha inciso su due tormentati fronti: il primo, quello delle garanzie partecipative, prevedendone un allargamento in ottica maggiormente garantista, ed il secondo, conducendo un’opera di innovazione rispetto agli stessi concetti di «prevenzione» e «tentativi di infiltrazione mafiosa», graduando il livello e la portata dell’intervento dell’Autorità prefettizia rispetto alla gravità del fumus indiziario.

Gli istituti che compongono la c.d. “documentazione antimafia”

Il sistema della c.d. “documentazione antimafia” trova nel Codice Antimafia la sua piena ed effettiva regolamentazione. Tale sistema si compone di due importanti strumenti: quello della “comunicazione antimafia” e quello, più problematico, rappresentato dall’istituto dell’ “interdittiva”. Le due misure conservano un’efficacia del tutto diversa; infatti, la “comunicazione antimafia” si configura come una vera e propria “certificazione” circa l’assenza di ogni causa di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art. 67 CAM e, quindi, dell’assenza di ogni condanna penale con sentenza definitiva o confermata in appello per i reati indicati dall’art.51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. La funzione ricognitiva della “comunicazione” si diversifica, quindi, dalla funzione “accertativa” del diverso strumento interdittivo. Tale misura, infatti, non ha alcun contenuto vincolato ma, al contrario, è diretta alla constatazione circa “la sussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi della società o delle imprese interessate”.

L’introduzione del contraddittorio endoprocendimetale: un tentativo di mitigazione del c.d. “ergastolo imprenditoriale”

Il testo legislativo interviene, prima faciae, sull’art. 92 CAM e concerne l’introduzione di alcuni «istituti di partecipazione» che il Prefetto deve disporre qualora intenda emettere un provvedimento interdittivo all’impresa. Infatti, a seguito della consultazione della Banca Dati Nazionale Unica della documentazione amministrativa, l’Autorità può scegliere di emettere un’informazione interdittiva qualora emerga la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67, o di un tentativo di infiltrazione mafiosa. La novità riguarda la modifica del comma 2 bis del citato art. 92 e l’introduzione dei commi 2 ter e 2 quater. La modifica al comma 2 bis introduce nel nostro ordinamento preventivo antimafia il tanto auspicato contraddittorio endoprocedimentale:il Prefetto, avendo ravvisato i presupposti per l’emissione di un’interdittiva antimafia, ne dà comunicazione tempestiva all’interessato che, entro 20 giorni, potrà presentare osservazioni, magari corredate da documenti, nonché richiedere l’audizione.

La procedura si conclude, complessivamente, in 60 giorni.

Ebbene, l’introduzione di una qualche forma di contraddittorio non deve apparire come totalmente satisfattiva dell’interesse dell’interdetto; viene, infatti, riservata alla discrezionalità prefettizia la valutazione di circostanze che comporterebbero, alla stregua di quanto era previsto nella precedente disciplina, un’irragionevole discovery degli elementi investigativi, oltre alla clausola, tuttora presente, delle “particolari esigenze di celerità del procedimento”. Con le nuove disposizioni viene valorizzata, in ottica garantista, la possibilità, a discrezione del Prefetto, di concedere, qualora non possa rilasciare un’informazione liberatoria, le misure previste dall’art. 94 bis.

Il nuovo istituto della c.d. “prevenzione collaborativa” e le connessioni con l’istituto del “controllo giudiziario”

L’art. 94 bis rappresenta un’innovazione di rilevantissimo impatto sul nostro sistema normativo antimafia. Emerge, infatti, una nuova categoria “indiziaria”, quella della c.d. “agevolazione occasionale” dell’organizzazione criminale, che sussiste allor quando i tentativi di infiltrazione mafiosa sono stati solamente occasionali. A tale nuova situazione di permeabilità mafiosa il legislatore connette la concessione di una nuova misura di riequilibrio della legalità: la c.d. “prevenzione collaborativa” che, presupponendo un’operatività per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici, si pone, come obiettivo precipuo, quello di sterilizzare la portata inquinante della già menzionata “agevolazione occasionale”. La prevenzione collaborativa si risolve in una serie di misure di organizzazione aziendale che il soggetto sospettato di “agevolazione occasionale” deve adottare. In relazione a tali misure la riforma inoltre attribuisce un nuovo ruolo, che si aggiunge ai precedenti, al c.d. «Gruppo Interforze»: oggi tale organo si pone al centro del processo di prevenzione collaborativa, in quanto allo stesso è stata attribuita una nuova «funzione» esterna, prima assente, divenendo protagonista del processo di risanamento aziendale. L’attività di monitoraggio, che si può definire «attivo», passa per la redazione di una analisi conclusiva che si concentra sull’attenuazione o sull’eliminazione dei presupposti che avevano giustificato l’assunzione della misura della prevenzione collaborativa.

Infine, il legislatore è opportunamente intervenuto anche in materia di “controllo giudiziario”: infatti, le misure di prevenzione collaborativa possono essere sostituite dalla misura del controllo giudiziario, con la conseguente nomina di un apposito amministratore giudiziario che, prendendo in affido il caso, deve riferire circa l’andamento del controllo sia al giudice delegato che al pubblico ministero.

Quindi, la (tradizionale) prepotente dirompenza dello strumento interdittivo antimafia sta lasciando progressivamente il posto, opportunamente, a strumenti ben più miti, che possono consentire una maggiore salvaguardia dell’attività imprenditoriale.

 

 

 

 

Studio Legale DAL PIAZ

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