La mancata produzione in giudizio dell’originale del documento disconosciuto da parte del soggetto che ha promosso la verificazione implica la rinuncia all’istanza medesima per assenza dei presupposti.
Il caso
Nella fattispecie in esame i convenuti, assistiti dallo Studio Legale DAL PIAZ, hanno eccepito in giudizio l’inutilizzabilità assoluta della scrittura privata prodotta ex adverso poiché copia fotostatica, quindi di per sé inidonea a fondare il procedimento di verificazione ex art. 216 c.p.c..
Il giudizio era stato promosso per ottenere l’accertamento dell’avvenuta rinuncia da parte dell’avente diritto (cliente dello Studio) della quota di usufrutto di sua spettanza sulla metà di un importante compendio immobiliare, a seguito della sottoscrizione di una presunta scrittura privata risalente nel tempo ed avente ad oggetto proprio la pretesa rinuncia.
A seguito del disconoscimento delle sottoscrizioni (ex art. 214 c.p.c.) da parte dei convenuti, l’attrice ha promosso istanza di verificazione[1].
Quindi, il Giudice ha disposto la CTU grafologica ordinando alla parte attrice (che intende valersi dell’efficacia probatoria della scrittura privata) di provvedere al deposito in cancelleria dell’originale del documento.
Nel corso delle operazioni peritali, però, il Consulente Tecnico di Parte convenuta (CTP) ha rilevato che il documento prodotto non era l’originale ma una semplice fotocopia, per quanto ben fatta, prodotta da una stampante digitale.
Stante la mancata produzione dell’originale della scrittura privata avente ad oggetto la rinuncia al diritto di usufrutto, i convenuti hanno eccepito l’insussistenza dei presupposti per portare a termine la verificazione, e la connessa implicita rinuncia all’istanza.
L’orientamento giurisprudenziale
La Suprema Corte ha affermato che il Giudice non può attribuire alcuna rilevanza probatoria al documento disconosciuto “a meno che la parte, che l’abbia prodotto, intenda avvalersene, chiedendone la verificazione giudiziale […]” (Cass. Civ., Sentenza n. 8161/2023).
Il presupposto della verificazione è quindi la produzione in giudizio dell’originale del documento disconosciuto.
Infatti, posto che il disconoscimento implica anche la contestazione dell’esistenza dell’originale (Cass. Civ., Sentenza n. 9202/2004) “la sua acquisizione [l’acquisizione dell’originale] agli atti del giudizio consente che la perizia grafica si svolga su tale documento e non sulla copia, onde assicurare la massima affidabilità dell’indagine devoluta all’ausiliario e, con ciò, rispondere ad un’esigenza concorrente, non soltanto delle parti, ma anche dello stesso ordinamento giuridico” (testualmente, Cass. Civ., Sentenza n. 35167/2021; ex multis, Cass. Civ., Sentenza n. 27402/2021).
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che, in assenza del documento originale da sottoporre al procedimento di verificazione, “alla parte […] rimane la sola possibilità di dare prova del suo contenuto – inutilizzabile a fini istruttori in ragione dell’intervenuta contestazione e della mancata sottoposizione a verificazione – con i mezzi ordinari, nei limiti della loro ammissibilità, precisandosi, a tal proposito, che non può fa ricorso alla prova testimoniale o a quella per presunzioni per dimostrare l’esistenza, il contenuto e la sottoscrizione del documento medesimo […]” (testualmente, Cass. Civ., Sentenza n. 24306/2017; ex multis, Cass. Civ., Sentenza n. 7267/2014, e Cass. Civ., Sentenza n. 33769/2019).
La Sentenza n. 101/2024 del Tribunale di Alessandria
Nel giudizio in esame, stanti i) il mancato reperimento dell’originale della scrittura privata avente ad oggetto la rinuncia al diritto di usufrutto, e ii) l’assenza di argomenti probatori a sostegno della presunta sottoscrizione ad opera dei convenuti, il Tribunale di Alessandria ha giudicato la domanda attorea inammissibile.
Invero, il Giudice, uniformandosi ai principi di diritto esposti in atti, ha giustamente stabilito che “L’assenza del documento in originale ha consentito al consulente incaricato di presentare conclusioni in termini di probabilità e non di certezza”, e, quindi, ha accertato che non è possibile provare che le firme riconducibili ai convenuti siano state effettivamente apposte sul documento prodotto ex adverso.
In definitiva, posto che la scrittura privata – disconosciuta e non verificata – costituiva l’unico ed esclusivo “titolo” su cui si fondava la domanda giudiziale attorea, il Giudice ha statuito la soccombenza della parte attrice.
Studio Legale DAL PIAZ
[1]Ai sensi dell’art. 216 c.p.c.: “La parte che intende valersi della scrittura disconosciuta deve chiederne la verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire di comparazione. […]”.