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I PATTI SUCCESSORI.
LA DISTIZIONE TRA NEGOZI MORTIS CAUSA E NEGOZI CON EFFETTI POST MORTEM: Corte di Cassazione, Sentenza n. 34858/2023.

 

Con la recentissima Sentenza n. 34858 del 13 dicembre 2023 la Corte di Cassazione fornisce un importante chiarimento sulla legittimità delle donazioni (di quote sociali) effettuate da un soggetto che versa in stato di grave malattia.

Il divieto di patti successori

L’articolo 458 c.c. prevede espressamente la nullità di “ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione” o “dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinuncia ai medesimi”.

La finalità di tale divieto è quella di conservare per chiunque la libertà di disporre dei propri beni fino al termine della vita.

Infatti, il nostro ordinamento dispone che l’eredità (il complesso dei rapporti giuridici – attivi e passivi – trasmissibili) si devolve solo per legge o per testamento, e, quindi, è illegittima qualsivoglia negozialità mortis causa.

In particolare, il Codice Civile vieta esplicitamente varie tipologie di patti successori, come di seguito illustrato.

  1. Patti successori istitutivi: accordi con cui un soggetto conviene con un altro di nominarlo erede, o di effettuare una determinata disposizione testamentaria a suo vantaggio. Al de cuius, quindi, sarebbe sottratta la libertà di disporre che la legge riconosce ad ogni persona fino al momento della morte.
  2. Patti successori dispositivi: patti con cui un soggetto, che ritiene di avere diritti su una successione non ancora aperta, ne dispone in favore di terzi.
  3. Patti rinunciativi: convenzioni con cui un soggetto, presunto futuro erede in una successione non ancora aperta, rinuncia all’eredità.

Quanto alle categorie sub 2 e 3, deve ritenersi che il Legislatore abbia voluto impedire che un soggetto possa disporre con leggerezza di beni che non gli appartengono ancora e di cui, anzi, l’acquisto non può essere sicuro (ex multis, Cass. Civ., Sentenza n. 14110/ 2021).

Il caso

Con la Sentenza in esame la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in materia di patti successori, affrontando, nello specifico, il caso di una donazione di quote sociali sottoposta a condizione di premorienza del donante affetto da una grave malattia in stato terminale.

In particolare, la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di tale tipologia di donazione perché la condizione sospensiva (se il donante morirà prima del donatario) retroagisce al momento della stipulazione della donazione stessa e, dunque, l’attribuzione patrimoniale dipende da un atto inter vivos e non mortis causa (come nel caso dei patti successori vietati).

Infatti, posto che la nullità dei patti successori mira “a salvaguardare il principio – di ordine pubblico – secondo cui la successione mortis causa può essere disciplinata, oltre che dalla legge, solo dal testamento […] e a tutelare la libertà testamentaria fino alla morte del disponente. In considerazione della ratio del divieto sono – invece – sottratti all’ambito applicativo della norma i negozi in cui l’evento morte non è causa dell’attribuzione, ma viene ad incidere esclusivamente sull’efficacia dell’atto, il cui scopo non è di regolare la futura successione”.

Quindi, Il focus dell’esame volto a stabilire la legittimità o meno dell’accordo è posto sul momento in cui esso produce (alcuni) effetti.

Infatti, secondo un autorevole orientamento, nonostante sia vero che nel negozio mortis causa (vietato) ed in quello con effetti post mortem (ritenuto legittimo a determinate condizioni) gli effetti sono subordinati alla morte del disponente, il “negozio mortis causa investe rapporti e situazioni che si formano in via originaria con la morte del soggetto o che dall’evento morte traggono una loro autonoma qualificazione, mentre il negozio post mortem valido è destinato a regolare una situazione preesistente, sia pure subordinandone gli effetti alla morte di una delle parti. Nei primi tale evento incide sia sull’oggetto che sulla posizione del beneficiario, nel senso che la disposizione mortis causa interessa non il bene come si trova al momento dell’atto, ma come esso figura nel patrimonio del disponente al momento della morte (cd. quod superest) e nel quale il beneficiario è considerato tale in quanto esistente al momento in cui l’atto acquisterà definitiva efficacia. In carenza di tali condizioni il negozio integra un atto inter vivos ed è in genere valido, salvo che specifiche clausole o condizioni contrattuali conservino in capo al disponente il potere di farne venir meno gli effetti e il carattere vincolante. In definitiva, l’atto mortis causa è diretto a regolare i rapporti patrimoniali e non patrimoniali del soggetto per il tempo e in dipendenza della sua morte, senza produrre alcun effetto, nemmeno prodromico o preliminare. L’evento della morte riveste un ruolo diverso nell’atto post mortem, perché qui l’attribuzione è attuale nella sua consistenza patrimoniale e non è limitata ai beni rimasti nel patrimonio del disponente al momento della morte” (Cass. Civ., Sez. Unite, Sentenza n. 18831/2019, e Cass. Civ., Sentenza n. 18198/2020).

Su tali premesse la giurisprudenza prevalente ha da tempo riconosciuto la piena validità, sia pure in presenza di determinate condizioni, della donazione fatta sotto la condizione sospensiva di premorienza del donante (cd. clausola si premoriar).

Invero, tale previsione produce effetti preliminari immediati in vita del donante, investe un singolo bene inteso come entità separata dal resto del patrimonio, e, quindi, l’attribuzione patrimoniale conseguente è solo differita alla morte, avendo il donatario facoltà di compiere atti conservativi e finanche di disporre del bene oggetto della donazione.

Invece, è nulla – per violazione dell’art. 485 c.c. – la donazione mortis causa, in cui la morte del donante è la causa dell’attribuzione patrimoniale (allorquando in previsione della morte un soggetto dona ad un altro soggetto).

Dunque, il contrasto della donazione con il divieto di patti successori dipende dalla persistenza o meno di un residuo potere dispositivo in capo al donante, e non, invece, alla maggior o minore probabilità del verificarsi dell’evento morte condizionante.

Infatti, la premorienza del donante è, per sua natura, evenienza incerta anche se il donante versa in condizioni di malattia irreversibili (come nel caso specifico oggetto della Sentenza in esame), nè è prevedibile la durata della vita residua, conservando utilità pratica al fine di valutare la legittimità della donazione la connotazione di irrevocabilità della disposizione.

In definitiva, la Suprema Corte ha confermato che le donazioni sotto condizione sospensiva non violano il divieto di patti successori, purché non siano finalizzate a regolare la futura successione e non privino il donante dello “jus poenitendi”.

 

 

 

 

 

 

 

 

Studio Legale DAL PIAZ

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