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CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA N. 218/2021 CONCESSIONI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE

 

L’illegittimità costituzionale dell’art. 177, comma 1, del Codice dei contratti pubblici.

Con ordinanza n. 166 in data 19.08.2020 il Consiglio di Stato (Sez. V), nel corso di un giudizio di impugnazione della Delibera dell’ANAC n. 614 del 04.07.2018[1], ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lett. iii), della L. n. 11/2016[2], e dell’art. 177 del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 50/2016), per violazione degli artt. 3, comma 1, 41, comma 1, e 97, comma 2, della Costituzione.

Il quadro normativo.

Le norme censurate obbligano i titolari di concessioni di importo pari o superiore a € 150.000,00 già in essere all’entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 50/2016), e non assegnate con la formula della finanza di progetto o con procedure ad evidenza pubblica, ad esternalizzare, mediante affidamenti a terzi con procedura di evidenza pubblica, l’80% dei contratti di lavori, servizi e forniture, nonché a realizzare la restante parte di tali attività tramite Società in house o Società controllate o collegate, ovvero operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.

La ratio dell’obbligo di dismissione totalitaria di lavori, servizi e forniture relativi ad una concessione affidata senza gara, cui si ricollega l’impossibilità per il concessionario di eseguire esso stesso le prestazioni oggetto della concessione, viene collegata alla “necessità di imporre regole concorrenziali, seppure a valle, […] quando sono mancate le gare a monte” (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. I, parere n. 823/2020), e, in generale, all’esigenza di sanare il contrasto con i principi comunitari di libera concorrenza.

Ai sensi del comma 3, dell’art. 177, del Codice dei contratti pubblici (che ha ripreso pressoché integralmente il principio ed il criterio direttivo esplicitato nella citata Legge delega n. 11/2016), il compito di definire le modalità di verifica del rispetto degli obblighi in capo ai concessionari è rimesso ad apposite Linee Guida dell’ANAC, che prevedono una penale “nel caso di situazioni di squilibrio reiterate per due anni consecutivi”.

Al fine di attuare quanto disposto dal Codice dei contratti pubblici, l’ANAC ha approvato la Delibera n. 614/2018 recante le Linee Guida n. 11, oggetto del giudizio amministrativo di prime cure, poi aggiornate ad opera della Delibera ANAC n. 570 del 26.06.2019[3].

Le questioni sollevate.

1) Il Collegio rimettente ha denunciato la violazione dell’art. 41, comma 1, Cost. nella parte in cui l’obbligo imposto ai concessionari dal compendio normativo in esame, in quanto esteso all’intera concessione, sarebbe “suscettibile di comportare uno stravolgimento degli equilibri economico-finanziari sottesi allo stesso rapporto concessorio […] su cui si fondano le scelte di pianificazione ed operative del concessionario/imprenditore”, e, quindi, lesivo della libertà di impresa costituzionalmente garantita.

Infatti, secondo il Giudice rimettente, l’attività economica è esercitata dal concessionario in base ad un titolo legittimo, e l’obbligo di dismissione totalitaria comporterebbe allo stesso “una vera e propria disgregazione del sottostante compendio aziendale, con depauperamento anche del patrimonio di conoscenze tecniche e tecnologiche e di professionalità maturate […] nello svolgimento di un rapporto diretto a perseguire non solo il profitto privato, ma anche l’interesse pubblico attuato dalla concessione”: il ruolo del titolare della concessione, quindi, sarebbe ridotto a mera stazione appaltante.

2) Il Consiglio di Stato ha, altresì, osservato che le norme censurate violano l’art. 3, comma 1, Cost. in quanto in contrasto rispetto alle legittime aspettative dei concessionari di proseguire l’attività economica in corso di svolgimento.

Inoltre, la previsione di un obbligo generalizzato di dismissione risulta in contrasto con il predetto parametro costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza, poiché imposto indipendentemente “dalla struttura imprenditoriale che gestisce la concessione, dall’oggetto e dall’importanza del settore strategico cui si riferisce la concessione, oltre che dal suo valore economico […]”.

3) Infine, il Consiglio di Stato Ipotizza la violazione dell’art. 97 Cost. in quanto né la norma delegante (art. 1, comma 1, lett. iii), L. n. 11/2016) né la norma delegata (art. 177 del Codice dei contratti pubblici) considerano gli effetti dell’imposta dismissione sull’efficiente svolgimento di servizi pubblici essenziali.

La decisione della Corte: la dichiarazione di incostituzionalità.

Con Sentenza n. 218 del 23.11.2021, la Corte Costituzionale ha ritenuto fondate le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, comma 1, e 41, comma 1, Cost., ed assorbite le censure prospettate in riferimento all’art. 97, comma 2, Cost..

La Corte, chiamata a compiere una complessa operazione di bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica privata e la tutela della concorrenza, ha statuito che l’imposizione dell’obbligo in capo ai titolari di concessioni già in essere, non assegnate con la formula della finanza di progetto o con procedure ad evidenza pubblica, di affidare completamente all’esterno l’attività oggetto di concessione (mediante appalto a terzi dell’80% dei contratti inerenti alla concessione stessa e mediante assegnazione a Società in house o controllate o collegate del restante 20%), costituisce “una misura irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine perseguito, in quanto tale lesiva della libertà di iniziativa economica […]”.

1) In merito al parametro della irragionevolezza del vincolo imposto:

“L’irragionevolezza dell’obbligo censurato si collega innanzitutto alle dimensioni del suo oggetto: come detto, la parte più grande delle attività concesse deve essere appaltata a terzi e la modesta percentuale restante non può comunque essere compiuta direttamente. L’impossibilità per l’imprenditore concessionario di conservare finanche un minimo di residua attività operativa trasforma la natura stessa della sua attività imprenditoriale, e lo tramuta da soggetto (più o meno direttamente) operativo in soggetto preposto ad attività esclusivamente burocratica di affidamento di commesse, cioè, nella sostanza, in una stazione appaltante.

[…]

Un ulteriore indice della irragionevolezza del vincolo, così come definito dalla previsione censurata, è costituito dalla sua mancata differenziazione o graduazione in ragione di elementi rilevanti, nel ricordato bilanciamento, per l’apprezzamento dello stesso interesse della concorrenza, quali fra gli altri le dimensioni della concessione – apparendo a tale fine di scarso rilievo la prevista soglia di applicazione alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro, normalmente superata dalla quasi totalità delle concessioni –, le dimensioni e i caratteri del soggetto concessionario, l’epoca di assegnazione della concessione, la sua durata, il suo oggetto e il suo valore economico.

[…]”.

2) La Corte ritiene inoltre che l’adozione dell’obbligo radicale e generalizzato di esternalizzare non costituisca il “mezzo più mite” fra quelli idonei a raggiungere le condizioni di piena concorrenza.

“In questa logica, lo stesso legislatore sarebbe stato tenuto a perseguire l’obiettivo di tutela della concorrenza, non attraverso una misura radicale e ad applicazione indistinta, ma calibrando l’obbligo di affidamento all’esterno sulle varie e alquanto differenziate situazioni concrete, attenuandone la radicalità, se del caso attraverso una modulazione dei tempi, ovvero limitandolo ed escludendolo, ad esempio, laddove la posizione del destinatario apparisse particolarmente meritevole di protezione, e comunque in definitiva dando evidenza alle circostanze rilevanti in funzione di un adeguato bilanciamento dei due diversi aspetti della libertà di impresa, costituiti, come visto, dalla aspirazione a proseguire un’attività in atto, da un lato, e dall’esigenza di assicurare la piena concorrenza, dall’altro”.

Pertanto, le disposizioni normative in esame, non rispettano neppure il criterio della proporzionalità.

Quindi, la Corte Costituzionale con la sentenza in epigrafe ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, lett. iii), della L. n. 11/2016, e 177 del Codice dei contratti pubblici.

Studio Legale DAL PIAZ

[1]“Linee guida n. 11 recanti: «Indicazioni per la verifica del rispetto del limite di cui all’art. 177, comma 1, del codice, da parte dei soggetti pubblici o privati titolari di concessioni di lavori, servizi pubblici o forniture già in essere alla data di entrata in vigore del codice non affidate con la formula della finanza di progetto ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea»”.

[2]“Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”.

[3] “Linee guida n. 11 recanti: «Indicazioni per la verifica del rispetto del limite di cui all’articolo 177, comma 1, del codice, da parte dei soggetti pubblici o private titolari di concessioni di lavori, servizi pubblici o furniture già in essere alla data di entrata in vigore del codice non affidate con la formula della finanza di Progetto ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea»”.

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