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ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 13.07.2022 n. 8 L’ACCERTAMENTO DI ILLEGITTIMITA’ DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO AI FINI RISARCITORI

 

Recentemente l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è espressa su una questione molto controversa in giurisprudenza, inerente la corretta interpretazione dell’arti. 34, comma 3, del Codice del processo amministrativo (c.p.a.).

Tale disposizione prevede che: “Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori.”

Con l’Ordinanza di rimessione n. 945 del 09.02.2022, la IV Sezione del Consiglio di Stato ha sottoposto all’Adunanza Plenaria due quesiti.

Con il primo quesito è stato chiesto di accertare le modalità con cui l’interesse all’accertamento dell’illegittimità dell’atto deve essere manifestato: infatti, qualora la domanda di annullamento sia diventata improcedibile, si sono delineati in giurisprudenza tre distinti orientamenti.

Secondo un primo orientamento (cd. “orientamento tradizionale[1]), il ricorrente può limitarsi a formulare un’istanza generica, espressiva dell’interesse ad un accertamento strumentale di una futura pretesa risarcitoria. Sulla base di un secondo orientamento (cd. “orientamento più recente[2]) per radicare l’interesse all’accertamento dell’illegittimità dell’atto occorre che il ricorrente alleghi i presupposti della successiva domanda risarcitoria. Infine, secondo la tesi prospettata nella stessa Ordinanza di rimessione, l’accertamento di illegittimità di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a. potrebbe essere svolto solo in presenza di una domanda di risarcimento del danno formulata nell’ambito del medesimo giudizio di annullamento o in un autonomo giudizio.

Con il secondo quesito è stato chiesto di chiarire se, qualora si ritenga che ai fini dell’accertamento di illegittimità (ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a.) sia sufficiente la sola allegazione degli elementi costitutivi della domanda, il Giudice investito di tale domanda di accertamento possa comunque pronunciarsi su una questione “assorbente” e “su ogni profilo della fattispecie risarcitoria”, considerato che la riscontrata infondatezza di uno degli elementi costitutivi dell’illecito sarebbe correlata alla concreta insussistenza dell’interesse espressamente richiesto per la declaratoria di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a (precludendo così l’accertamento di illegittimità).

L’art. 34, comma 3, c.p.a. nell’ambito dei rapporti tra azione di annullamento ed azione di risarcimento per lesione di interessi legittimi

L’Adunanza Plenaria ha accolto il primo orientamento, ritenendo “sufficiente la dichiarazione del ricorrente di avere interesse a che sia accertata l’illegittimità dell’atto impugnato in vista della futura azione risarcitoria”.

La Sentenza in commento è di estremo interesse perché, attraverso un ragionamento sistematico delle principali disposizioni del Codice del processo amministrativo, affronta e chiarisce i rapporti tra azione di annullamento ed azione di risarcimento per lesione di interessi legittimi proponibile in sede giurisdizionale amministrativa.

Al riguardo, dirimente nell’impianto motivazionale è il richiamo ai principi di pienezza ed effettività della tutela, sulla base del principio enunciato dall’art. 1 del Codice del processo amministrativo.

Inoltre, secondo l’Adunanza Plenaria rilevanza centrale assume il rinvio al combinato disposto degli artt. 30, comma 5 (relativo ai termini di proponibilità dell’azione di condanna), 35, comma 1, lett. c) (che dispone l’improcedibilità del ricorso in caso di sopravvenuto difetto di interesse delle parti alla decisione), e, infine, 104, comma 1 (che, nell’enunciare il divieto dei nova in appello precisa che resta “fermo quanto previsto dall’art. 34, comma 3”), c.p.a..

Alla luce di tale quadro normativo, viene sottolineato come la disciplina processuale sia attualmente improntata al principio dell’autonomia dell’azione risarcitoria rispetto a quella di annullamento, superando così il precedente assetto basato sulla cd. “pregiudiziale amministrativa”. Tale autonomia tra le due azioni, secondo quanto affermato dall’Adunanza Plenaria, trova espressione proprio nell’art. 30, comma 5, c.p.a. che prevede la possibilità di posporre il risarcimento all’annullamento (entro il termine di 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio di annullamento) e, quindi, domandare in successione i due rimedi.

Seguendo quindi una prospettiva evolutiva della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione, il Supremo Consesso evidenzia come l’art. 34, comma 3, si iscriva all’interno di una più ampia linea di tendenza che, sin da epoca antecedente al Codice del processo amministrativo, ha portato la giurisprudenza ad interpretare restrittivamente le ipotesi di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione sulla domanda di annullamento, quando non dichiarata dal ricorrente.

Analogamente, l’accertamento di illegittimità ai fini risarcitori previsto dall’art. 34, comma 3, c.p.a. risponde alla medesima esigenza di conservare un’utilità alla decisione di merito sulla domanda di annullamento, pur a fronte di un mutamento della situazione di fatto e di diritto rispetto all’epoca in cui è stata azionata.

Nondimeno, evidenzia l’Adunanza Plenaria che gli approdi maturati dalla giurisprudenza con riguardo all’azione di annullamento non possono essere estesi per intero all’interesse risarcitorio. Invero, proprio in ragione della natura di giurisdizione di diritto soggettivo della giurisdizione amministrativa, è allo stesso ricorrente che per legge è rimessa l’iniziativa a tutela del suo interesse risarcitorio: “la manifestazione dell’interesse risarcitorio una volta venuto meno quello all’annullamento dell’atto impugnato è dunque il presupposto indispensabile affinché il giudice possa pronunciarsi sulla legittimità dello stesso atto con pronuncia di mero accertamento”.

Pertanto, la dichiarazione del ricorrente circa il fine risarcitorio è condizione necessaria e sufficiente perché sorga l’obbligo del Giudice di accertare l’eventuale illegittimità dell’atto impugnato.

L’interesse risarcitorio ai fini di una pronuncia di accertamento di illegittimità dell’atto impugnato si correla al termine ultimo previsto dall’art. 30, comma 5, c.p.a., in forza del quale è possibile promuovere giudizi in successione per ottenere quella “tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”, enunciata dall’art. 1 c.p.a. quale principio fondamentale della giurisdizione amministrativa.

Nella cornice così delineata, che offre al privato un’ampia possibilità di modulare la propria strategia processuale a tutela dei suoi diritti e interessi, la manifestazione dell’interesse risarcitorio ai fini dell’eventuale azione di risarcimento dei danni provocati dall’atto originariamente impugnato (per il cui annullamento è venuto meno l’interesse nel corso del giudizio) consente dunque al ricorrente di ricavare dal giudizio di impugnazione un’utilità residua (impeditiva della pronuncia in rito ex art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a.), nella futura prospettiva di una tutela per equivalente monetario che il codice consente di fare valere in separato giudizio.

Quindi, l’Adunanza Plenaria individua nel citato primo orientamento giurisprudenziale la soluzione ai quesiti prospettati con l’Ordinanza di rimessione. Dal punto di vista “pratico”, viene inoltre precisato che, per ottenere l’accertamento ai fini risarcitori, è sufficiente che il ricorrente esprima una semplice dichiarazione, da rendere nelle forme di cui all’art. 73 c.p.a. nel contraddittorio tra le parti, con la quale, a modifica della domanda di annullamento originariamente proposta, manifesti il proprio interesse affinché sia comunque accertata l’illegittimità dell’atto impugnato (attuando così una “emendatio” della domanda). 

Dal punto di vista processuale, all’istanza dell’interessato consegue un accertamento corrispondente a quello che il Giudice avrebbe dovuto svolgere nell’esaminare la domanda di annullamento. L’unica differenza consiste nel fatto che la pronuncia del Giudice non è modificativa della realtà giuridica, come quella demolitoria della domanda di annullamento, ma verte su un antecedente logico-giuridico dell’azione risarcitoria, idonea a divenire cosa giudicata in senso sostanziale ai sensi dell’articolo 2909 c.c..

Infine, uno degli aspetti di maggiore rilievo consiste nel fatto che l’Adunanza Plenaria, con la pronuncia in esame, non si limita ad accogliere uno tra gli orientamenti giurisprudenziali individuati dall’Ordinanza di rimessione, ma sottolinea l’aporia della tesi prospettata, in particolare, dalla Sezione rimettente.

Infatti, secondo l’Adunanza Plenaria, sia la tesi cd. intermedia, per la quale ai fini dell’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato è necessario l’allegazione dei presupposti della futura domanda risarcitoria, sia la tesi proposta dalla Sezione rimettente, per la quale occorrerebbe la proposizione di una vera e propria domanda risarcitoria, non trovano alcun fondamento normativo.

In particolare, la tesi propugnata con l’Ordinanza di rimessione non può essere accolta perché richiede che la domanda risarcitoria sia già stata proposta affinché il Giudice possa pronunciarsi sulla legittimità dell’atto impugnato ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., mentre un simile accertamento “costituisce già uno degli antecedenti logico-giuridici dell’azione di risarcimento del danno da interessi legittimi devoluta ai sensi dell’articolo 7, comma 4, alla giurisdizione amministrativa. L’accertamento di legittimità dell’atto impugnato in funzione risarcitoria, infatti, presuppone non una domanda risarcitoria in atto, ma la sola proponibilità della stessa (consentita ai sensi dell’articolo 30, comma 5, c.p.a.).”

Anche la tesi cd. intermedia viene espressamente confutata in quanto tende a produrre una sovrapposizione tra le due domande, di annullamento e risarcitoria, che il Codice del processo amministrativo, ed in particolare l’art. 30, considera distinte e non avvinte da un rapporto di pregiudizialità (salvo il temperamento previsto dall’art. 30, comma 3, c.p.a.). 

I principi di diritto

Conclusivamente, in continuità con il precedente del Consiglio di Stato, Sez. V, 29 gennaio 2020 n. 727, l’Adunanza Plenaria ha dunque espresso i seguenti principi di diritto: “(sul primo quesito) «per procedersi all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., è sufficiente dichiarare di avervi interesse a fini risarcitori; non è pertanto necessario specificare i presupposti dell’eventuale domanda risarcitoria né tanto meno averla proposta nello stesso giudizio di impugnazione; la dichiarazione deve essere resa nelle forme e nei termini previsti dall’art. 73 cod. proc. amm.»; – (sul secondo quesito) «una volta manifestato l’interesse risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l’atto impugnato sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente procedibilità dell’azione di annullamento, mentre gli è precluso pronunciarsi su una questione in ipotesi assorbente della fattispecie risarcitoria, oggetto di eventuale successiva domanda».

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La Sentenza è di estremo interesse per il suo impianto argomentativo e, naturalmente, per gli esiti interpretativi cui giunge, che sembrano porsi in una linea di discontinuità con quanto affermato nella pronuncia della stessa Adunanza Plenaria n. 22 del 9.12.2021 sulla cd. “vicinitas” (cfr. il nostro articolo del 18 gennaio 2022 nella sezione News), con cui era stata posta in evidenza proprio l’esigenza che l’interesse ad agire in giudizio fosse “concreto” ed “attuale”. 

Al riguardo, il Supremo Consesso prende espressamente in considerazione il rischio che l’accertamento avvenga a fronte di un interesse solo potenziale e non attuale, ai sensi dell’art. 100 c.p.a., ritenendo che tale preoccupazione sia  comunque superabile in quanto la pronuncia resa ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a origina da una modifica in senso riduttivo di una domanda già proposta, quella di annullamento, divenuta priva di interesse per il ricorrente in pendenza di giudizio. Inoltre, il ricorrente conserva in ogni caso un’utilità alla prosecuzione del giudizio ai fini di un ristoro per equivalente dei danni eventualmente subiti a causa dei provvedimenti amministrativi impugnati.

Importante appare anche il ribaltamento di prospettiva operato nella Sentenza in esame, rispetto a quanto paventato nell’Ordinanza di rimessione della IV Sezione del Consiglio di Stato, circa i rischi derivanti dall’ammissibilità di “domande esplorative”, in contrasto con il principio secondo cui la funzione giurisdizionale costituirebbe una “risorsa scarsa”. Al contrario, l’Adunanza Plenaria afferma che è possibile individuare nell’accertamento ex art. 34, comma 3, c.p.a. una funzione deflattiva del contenzioso, rispondendo sia alle esigenze del ricorrente, che avrebbe così la possibilità di conoscere anticipatamente se è fondato il presupposto principale dell’eventuale azione di risarcimento dei danni, sia dell’amministrazione autrice dell’atto impugnato, alla quale sarebbe consentito conoscere immediatamente se l’atto adottato è illegittimo e, eventualmente, esperire il potere di autotutela (scongiurando rischi di esborsi economici). 

La soluzione cui perviene l’Adunanza Plenaria è quindi apprezzabile nella misura in cui trova il proprio fondamento in un solido impianto normativo e costituisce attuazione dei principi, propri dell’ordinamento processuale nazionale ed europeo, di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale di cui può godere il privato a fronte di un atto amministrativo illegittimo.

 

 

 

 

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]Nell’Ordinanza di rimessione vengono richiamate a sostegno le seguenti pronunce: Cons. Stato, Sez. V, 2 luglio 2020, n. 4253; Sez. V, 17 aprile 2020, n. 2447; Sez. VI, 4 maggio 2018, n. 2651; Sez. IV, 5 dicembre 2016, n. 5102; Sez. IV, 16 giugno 2015, n. 2979; Sez. V, 24 luglio 2014, n. 3939; Sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1231; Sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6539.
[2]Nell’Ordinanza di rimessione vengono richiamate a sostegno le seguenti pronunce: Cons. Stato, Sez. VI, 11 ottobre 2021, n. 6824; Sez. III, 4 febbraio 2021, n. 1059; Sez. II, 5 ottobre 2020, n. 5866; Sez. III, 22 luglio 2020, n. 4681; Sez. III, 29 gennaio 2020, n. 736; Sez. IV, 17 gennaio 2020, n. 418; Sez. III, 8 gennaio 2018, n. 5771; Sez. V, 28 febbraio 2018, n. 1214; sez. IV, 18 agosto 2017, n. 4033; Sez. V, 15 marzo 2016, n. 1023; Sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6703.

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