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DECRETO “SALVA CASA”: le principali novità.

 

Il 29 maggio 2024 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.L. n. 69/2024 recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica” (cosiddetto Decreto “salva casa”), il quale ha apportato modifiche al D.P.R. n. 380/2001 (T.U.E: Testo Unico Edilizia), introducendo norme volte alla semplificazione ed alla risoluzione di alcune problematiche operative in ambito edilizio, improntate sulla classificazione delle difformità edilizie e che intervengono sulle casistiche di minore gravità.

Infatti, con il “Decreto salva casa” è stata ampliata la casistica degli interventi di edilizia libera, sono state modificate le tolleranze costruttive/esecutive, viene consentita una semplificazione nella sanatoria delle parziali difformità, è stata modificata la definizione di stato legittimo e sono state apportate alcune modifiche al cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante.

In particolare, il Decreto è intervenuto sul Testo Unico Edilizia modificando e introducendo le seguenti norme:

  • Art. 6 “Attività edilizia libera”;
  • Art. 9 bis “Documentazione amministrativa e stato legittimo degli immobili”;
  • Art. 23 ter “Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante”;
  • Art. 31 “Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire,
    in totale difformità o con variazioni essenziali”;
  • Art. 34 “Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di
    costruire”;
  • Art. 34 bisTolleranze costruttive”;
  • Art. 36 “Accertamento di conformità nelle ipotesi di assenza di titolo, totale difformità o variazioni essenziali”;
  • Art. 36 bisAccertamento di conformità nelle ipotesi di parziali difformità”;
  • Art. 37 “Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla
    segnalazione certificata di inizio attività”.

1. Attività edilizia libera.

La prima innovazione introdotta con il D.L. n. 69/2024 attiene alle attività edilizie ritenute non eccessivamente impattanti, eseguibili senza un titolo abilitativo (c.d. edilizia libera).

Tra queste, oltre agli interventi di manutenzione ordinaria, l’installazione di pompe di calore di potenza inferiore a 12 kW e la rimozione di barriere architettoniche, assumono particolare rilievo l’installazione di vetrate panoramiche amovibili (cosiddette “VEPA”) su logge e balconi e l’installazione di opere per la protezione dal sole o da agenti atmosferici.

Le “VEPA” assolvono a funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici, di miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, di riduzione delle dispersioni termiche, nonché di parziale impermeabilizzazione dalle acque meteoriche, e possono essere installate non solo presso balconi o logge ma anche in porticati rientranti all’interno dell’edificio.

Tuttavia, per poter essere liberamente installate, oltre che ad essere destinate esclusivamente all’assolvimento delle predette funzioni, le VEPA devono essere amovibili e totalmente trasparenti, non devono determinare la creazione di spazi stabilmente chiusi con conseguente variazione di volumi e di superfici che possano generare nuova volumetria, non devono comportare il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile anche da superficie accessoria a superficie utile, devono consentire la naturale micro-aerazione dei vani interni domestici, e devono avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente, al fine di non apportare modifiche alle preesistenti linee architettoniche.

Nel novero della seconda tipologia di strutture installabili in regime di edilizia libera, invece, rientrano “le opere di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici la cui struttura principale sia costituita da tende, tende da sole, tende da esterno, tende a pergola con telo retrattile anche impermeabile, tende a pergola con elementi di protezione solare mobili o regolabili, e che sia addossata o annessa agli immobili o alle unità immobiliari, anche con strutture fisse necessarie al sostegno e all’estensione dell’opera”.

Sul punto, è opportuno evidenziare che il punto 50 del “Glossario dell’attività edilizia libera”, allegato al D.M. 2 marzo 2018, ricomprendeva già l’installazione, la riparazione, la sostituzione ed il rinnovamento di alcune tipologie di tende, e consentiva in regime di edilizia libera anche la realizzazione di gazebo e di pergolati di limitate dimensioni e non stabilmente fissati al suolo.

Tuttavia, la novella normativa, con cui è stata introdotta la lettera b) ter all’art. 6, comma 1 del D.P.R. n. 380/2001, ha inteso disciplinare puntualmente l’installazione di tali strutture recependo l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi in materia nel corso degli anni, che ne ha ammesso la libera installazione riconoscendone la funzione “protettiva”, e qualificando quale opera principale la tenda e non la struttura di sostegno.

Pertanto, le strutture in parola possono essere pure liberamente impiantate alle condizioni previste per le VEPA, ossia: i) devono essere addossate o annesse agli immobili o alle unità immobiliari anche con strutture fisse necessarie al sostegno ed all’estensione dell’opera; ii) non devono determinare la creazione di uno spazio stabilmente chiuso, con conseguente variazione di volumi e superfici; iii) devono avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente; iv) devono armonizzarsi con le preesistenti linee architettoniche dell’edificio.

2. Lo stato legittimo degli immobili.

Ulteriore importante modifica apportata al T.U.E. riguarda la prova dello stato legittimo degli immobili: come noto, nella previgente formulazione dell’art. 9 bis, comma 1 bis, per tale dimostrazione erano necessari sia il titolo edilizio originario con cui era stato realizzato l’immobile che quello che aveva disciplinato l’ultimo intervento.

Ebbene, il D.L. n. 69/2024 ha posto tali requisiti in alternativa fra di loro e, dunque, lo stato legittimo può essere ora dimostrato con il titolo abilitativo originario che ne ha previsto la costruzione (o che ne ha legittimato la stessa) oppure con il titolo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o l’intera unità immobiliare, purché tale titolo sia stato rilasciato all’esito di un procedimento che abbia verificato l’esistenza del titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.

La ratio sottesa all’innovazione normativa è quella di valorizzare in particolare l’affidamento del privato nei casi in cui gli Uffici Tecnici comunali abbiano in precedenza espressamente accertato l’esistenza di parziali difformità rispetto al titolo edilizio, senza tuttavia considerarle rilevanti: in tali ipotesi, pertanto, in sede di accertamento dello stato legittimo, l’Amministrazione comunale non può contestare una difformità considerata tollerabile nell’ambito del procedimento inerente l’ultimo intervento edilizio, conclusosi con l’adozione di un provvedimento favorevole al privato.

Non solo: tra le modalità per certificare la regolarità edilizio-urbanistica, la modifica normativa annovera anche le diverse forme di fiscalizzazione dell’abuso edilizio.

Dunque, lo stato legittimo può essere dimostrato con: i) i titoli rilasciati a seguito dei procedimenti per l’accertamento di conformità in sanatoria, ai sensi dell’art. 36 e del nuovo art. 36 bis del D.P.R. n. 380/2001 (di cui si dirà più diffusamente infra), previo pagamento delle sanzioni/oblazioni; ii) il pagamento della sanzione pecuniaria dovuta a seguito di annullamento del permesso di costruire, in quanto ai sensi dell’art. 38, comma 2 del T.U.E., produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria; iii) il pagamento delle sanzioni previste per gli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità da esso, per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, per gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla S.C.I.A. e accertamento di conformità, la dichiarazione ex art. 34 bis T.U.E. in merito alle tolleranze costruttive.

Per gli immobili realizzati in epoca in cui non era obbligatoria la previa acquisizione di un titolo abilitativo, invece, restano ferme le disposizioni dell’art. 9 bis, comma 1 bis, D.P.R. n. 380/2001: per essi, dunque, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.

In merito alla prova dello stato legittimo per tale ultima categoria di immobili, si evidenzia la recente Sentenza n. 4149/2024 della Seconda Sezione del Consiglio di Stato in cui è stato ribadito il consolidato principio per cui l’onere probatorio relativo alla realizzazione dell’immobile in epoca per cui non era necessario un titolo edilizio grava sul privato.

In particolare, il Collegio ha rammentato che “Tale orientamento è basato sul principio di “vicinanza della prova”, essendo nella sfera del privato la prova circa l’epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza, in quanto solo l’interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza del carattere non abusivo di un’opera edilizia, in ragione dell’eventuale preesistenza rispetto all’epoca dell’introduzione di un determinato regime autorizzatorio dello ius aedificandi (Cons. Stato Sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3304; sez. IV, 1 aprile 2019, n. 2115; Sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3696; Sez. VI, 5 marzo 2018, n. 1391)”.

Il rigore dell’onere probatorio trova attenuazione “secondo ragionevolezza”, tuttavia, nei casi in cui il privato “da un lato, porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell’intervento prima di una certa data elementi rilevanti (ad esempio, aerofotogrammetrie) e, dall’altro, o la pubblica amministrazione non analizzi debitamente tali elementi o vi siano elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio. In tal caso, non è escluso il ricorso alla prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni prognostiche basate su fatti notori o massime di comune esperienza, inferendo, così e secondo criteri di normalità, la probabile data di tale ultimazione da un complesso di dati, documentali, fotografici e certificativi, necessari in contesti o troppo complessi o laddove i rilievi cartografici e fotografici siano scarsi (Cons. Stato, Sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3304 citata; id. 13 novembre 2018 n. 6360; id. 19 ottobre 2018 n. 5988; id. 18 luglio 2016 n. 3177).

In sostanza, la deduzione della parte privata di concreti elementi di fatto relativi all’epoca dell’abuso può trasferire l’onere della prova contraria in capo all’amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2018 n. 5984; id. VI, 11 giugno 2018, n. 3527; id. VI, 14 maggio 2019, n. 3133). Ciò però in quanto sussistano effettivamente elementi idonei a rendere un quadro probatorio rilevante della data di realizzazione dell’abuso, quali risalenti dati catastali, la natura dei materiali utilizzati, le testimonianze rese in altri giudizi; anche le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà sono ritenute utilizzabili purché in presenza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti (Consiglio di Stato, Sez. II, 4 gennaio 2021, n. 80)[1].

3. Cambio di destinazione d’uso.

Con la modifica dell’art. 23 ter D.P.R. n. 380/2001 è stato reso più agevole il cambio di destinazione d’uso di singole unità immobiliari senza opere, specialmente all’interno delle aree urbane, prevedendo il principio dell’indifferenza funzionale tra destinazioni d’uso omogenee, come individuate dalla legge statale o regionale.

Nello specifico, ferme restando l’osservanza delle normative di settore e delle specifiche condizioni eventualmente fissate dagli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso della singola unità immobiliare, senza opere, è sempre consentito: i) all’interno della stessa categoria funzionale; ii) tra le categorie funzionali relative alle categorie residenziale, turistico-ricettiva, produttiva e direzionale e commerciale, per una singola unità immobiliare, in immobili situati nelle zone omogenee A), B) e C) ovvero nelle zone equipollenti, come definite dalle leggi regionali in materia.

In merito a tale ultima fattispecie, peraltro, è stato specificato che, per le singole unità immobiliari, il mutamento di destinazione d’uso, oltre ad essere sempre consentito nel caso in cui sia finalizzato a conferire all’unità immobiliare la forma di utilizzo conforme a quella prevalente nelle altre unità immobiliari presenti nell’immobile, non è assoggettato all’obbligo di reperimento di ulteriori aree per servizi di interesse generale né al vincolo della dotazione minima obbligatoria di parcheggi.

Per le unità immobiliari poste al primo piano fuori terra, comunque, il passaggio alla destinazione residenziale è ammesso nei soli casi espressamente previsti dal piano urbanistico e dal regolamento edilizio.

Da ultimo, il nuovo art. 23 ter, comma 1 quinquies del T.U.E, prevede che i predetti cambi di destinazione d’uso sono soggetti alla S.C.I.A. ex art. 19 L. n. 241/1990, ferme restando le norme regionali più favorevoli.

4. L’alienazione degli immobili abusivi.

Per gli Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire,
in totale difformità o con variazioni essenziali, in caso di mancata rimozione dell’abuso da parte del responsabile e conseguente acquisizione del bene al patrimonio comunale, il previgente art. 31, comma 5, del D.P.R. n. 380/2001 prevedeva la demolizione dell’opera abusiva con ordinanza del Dirigente o del Responsabile del competente ufficio comunale a spese del responsabile, salva la possibilità di mantenere il manufatto, previa dichiarazione con Deliberazione consiliare dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici e purché l’opera stessa non fosse contrastante con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico.

Con il Decreto “salva casa”, tuttavia, anche tale disposizione è stata modificata: secondo l’attuale formulazione l’opera abusiva può essere mantenuta mediante Deliberazione del Consiglio Comunale con la quale si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, previa acquisizione del parere delle Amministrazioni competenti ai sensi dell’articolo 17 bis L. n. 241/1990 in materia di silenzio ed inerzia nei rapporti  tra Amministrazioni Pubbliche e tra Amministrazioni Pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici.

Altresì, quando l’opera abusiva non contrasta con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, è previsto che il Comune possa anche alienare il bene, sempre previo parere delle Amministrazioni competenti ai sensi del summenzionato art. 17 bis, precisando che il responsabile dell’abuso non può partecipare all’alienazione: in tale ipotesi, il contratto di alienazione è sospeso fino alla effettiva rimozione da parte dell’acquirente delle opere abusive, ed il valore venale dell’immobile è determinato dall’Agenzia del Territorio tenendo conto del costo per la demolizione delle irregolarità.

5. Le tolleranze costruttive e le tolleranze esecutive.

Prima di esaminare le modifiche apportate dal D.L. n. 69/2024 all’art. 34 bis del T.U.E., si rammenta che la distinzione tra le tolleranze costruttive e quelle esecutive dettata dalla norma in questione: le prime rappresentano lo scostamento dai parametri autorizzati in misura pari al 2% e non sono considerate un illecito edilizio; le seconde, invece, rappresentano le irregolarità geometriche, le modifiche di minima entità alle finiture degli edifici, la diversa collocazione di impianti e di opere interne eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi.

Fatta tale doverosa premessa, le innovazioni introdotte dal Decreto “salva casa”, per gli interventi realizzati entro il 24.05.2024 (con dichiarazione di fine lavori presentata entro la medesima data), hanno riparametrato le tolleranze costruttive in misura inversamente proporzionale alla superficie utile del manufatto: per l’effetto, quanto minore è la superficie utile tanto maggiore è il limite consentito percentualmente.

Nello specifico, sono stati stabiliti diversi valori in relazione alle tolleranze entro le quali è possibile ritenere che il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia: con tale previsione si è voluto consentire di tenere conto, nell’ambito della definizione della tolleranza, di scostamenti rispetto alle caratteristiche costruttive previste nei titoli abilitativi che, seppur minimi, quando valutati rispetto a superficie di modesta entità, possono impattare per più del 2% del totale. Pertanto, il nuovo art. 34 bis T.U.E. prevede che, in relazione ai predetti interventi realizzati entro il 24.05.2024, il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro i seguenti limiti:

  • del 2% delle misure previste nel titolo abilitativo, per le unità immobiliari con superficie utile superiore a 500mq;
  • del 3% delle misure previste nel titolo abilitativo, per le unità immobiliari con superficie utile compresa tra 300 e 500mq;
  • del 4% delle misure previste nel titolo abilitativo, per le unità immobiliari con superficie utile compresa tra 100 e 300mq;
  • del 5% delle misure previste nel titolo abilitativo, per le unità immobiliari con superficie utile inferiore a 100mq.

Tuttavia, è opportuno precisare che, ai fini del computo della superficie utile, la norma impone di considerare la sola superficie assentita con il titolo edilizio che ha abilitato la realizzazione dell’intervento, al netto di eventuali frazionamenti dell’immobile o dell’unità immobiliare eseguiti nel corso del tempo: la specificazione mira ad evitare l’eventuale proliferare di attività di frazionamento meramente strumentali e finalizzate solo ad ottenere l’applicazione di un regime delle tolleranze più favorevole.

Quanto alle tolleranze esecutive, invece, è disposto che gli interventi realizzati sempre entro il 24.05.2024 (con dichiarazione di fine lavori presentata entro tale data), oltre a quelle già normativamente previste, costituiscono tolleranze esecutive nei seguenti casi:

  • minore dimensionamento dell’edificio;
  • mancata realizzazione di elementi architettonici non strutturali (da intendersi come elementi architettonici non strutturali in relazione ai quali le commissioni per il paesaggio non hanno espresso parere);
  • irregolarità geometriche e modifiche alle finiture degli edifici di minima entità;
  • irregolarità esecutive di muri esterni e interni e difforme ubicazione delle aperture interne;
  • difforme esecuzione di opere rientranti nella nozione di manutenzione ordinaria;
  • errori progettuali corretti in cantiere ed errori materiali di rappresentazione progettuale delle opere.

Previsioni particolari, poi, sono state introdotte per le unità immobiliari ubicate nelle zone sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità: il nuovo comma 3 bis dell’art. 34 bis D.P.R. n. 380/2001 pone in capo al tecnico l’onere di attestare che le tolleranze rispettano le prescrizioni dettate dal Testo Unico Edilizia in riferimento alle costruzioni in zone sismiche.

Tale attestazione dev’essere corredata dalla documentazione tecnica sull’intervento predisposta sulla base del contenuto minimo richiesto dall’art. 93, comma 3, del T.U.E., ai sensi del quale “Il contenuto minimo del progetto è determinato dal competente ufficio tecnico della regione. In ogni caso il progetto deve essere esauriente per planimetria, piante, prospetti e sezioni, relazione tecnica e accompagnato dagli altri elaborati previsti dalle norme tecniche”.

6. Difformità parziali e nuovo accertamento di conformità in sanatoria.

Le novità più rilevanti (ed anche più attese) apportate dal Decreto “salva casa” attengono alla modifica dell’istituto dell’accertamento di conformità ora disciplinato, nelle sue diverse ipotesi di irregolarità anche con riferimento ai diversi titoli abilitativi, dai novellati artt. 36, 37 e dal nuovo art. 36 bis del D.P.R. n. 380/2001.

Preliminarmente, occorre richiamare le diverse fattispecie patologiche di abusi individuate dal T.U.E., graduate in relazione alla gravità della violazione:

  • parziali difformità (artt. 34 e 37 T.U.E.), comprese tra i limiti delle tolleranze costruttive (art. 34 bis) ed i limiti delle variazioni essenziali (definiti dalla legislazione regionale);
  • variazioni essenziali (art. 32 T.U.E.), ossia le ipotesi di interventi completamente diversi, rispetto a quanto assentito, per caratteristiche costruttive o destinazione d’uso;
  • assenza di titolo (artt. 31 e 33 T.U.E.), ossia le ipotesi in cui il titolo è inesistente o, seppur esistente, privo di efficacia ab origine ovvero a seguito di revoca da parte del Comune o di provvedimento giurisdizionale;
  • totale difformità (artt. 31 e 33 T.U.E.), vale a dire le ipotesi in cui il manufatto realizzato è completamente diverso da quello assentito per caratteristiche tipologiche, planivolumetriche o di utilizzazione, oppure in caso di esecuzione di volumi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire organismi edilizi autonomamente utilizzabili.

La novella normativa è intervenuta prevedendo misure semplificatorie esclusivamente in relazione alle parziali difformità: come noto, infatti, per l’accertamento di conformità di un’opera abusiva (anche detta “sanatoria” e riferita alle ipotesi di “intervento eseguito in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 23, comma 01, o in difformità da essa”), il previgente art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 non distingueva la gravità dell’abuso e prevedeva sempre la verifica della sussistenza del requisito della cosiddetta “doppia conformità” dell’opera, ossia la rispondenza del manufatto alla normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della realizzazione ed a quella in vigore al momento della presentazione dell’istanza.

Nella nuova formulazione, invece, l’applicazione dell’art. 36 del T.U.E., e quindi la verifica della “doppia conformità”, è limitata solo alle fattispecie di: a) assenza, totale difformità o variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire, e b) assenza, totale difformità o variazioni essenziali rispetto alla S.C.I.A. alternativa al permesso di costruire.

Per la sanatoria delle parziali difformità degli interventi dal permesso di costruire o dalla S.C.I.A. (art. 34) e per le ipotesi di assenza o difformità dalla S.C.I.A. (art. 37), invece, con l’introduzione ex novo dell’art. 36 bis è stato modificato l’istituto della “doppia conformità”.

In questi casi, infatti, fino alla scadenza di cui all’art. 34, comma 1, D.P.R. n. 380/2001 e, comunque, fino all’irrogazione delle relative sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile possono ottenere il permesso di costruire e presentare la S.C.I.A. in sanatoria se l’intervento risulta conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda ed ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione dell’intervento: non è più previsto il contemporaneo rispetto di normative temporalmente diverse, dunque, ma solo la rispondenza alla disciplina in vigore alla data di realizzazione dell’abuso ed ai “semplici” requisiti urbanistico-edilizi in essere al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria.

Peraltro, ulteriore elemento di novità consiste nella possibilità, non ammessa sin ora dalla giurisprudenza, di rilasciare una “sanatoria condizionata”: lo Sportello Unico chiamato ad esaminare l’istanza, invero, può condizionare il rilascio del provvedimento sanante alla realizzazione, da parte del richiedente, degli interventi edilizi necessari ad assicurare l’osservanza della normativa tecnica di settore relativa ai requisiti di sicurezza, igiene, salubrità, efficienza energetica degli edifici e degli impianti negli stessi installati, superamento delle barriere architettoniche e rimozione delle opere che non possono essere sanate, individuando anche le misure da prescrivere, e che costituiscono condizioni per la formazione del titolo.

Il nuovo art. 36 bis, comma 4, D.P.R. 380/2001 e l’art. 167 D.Lgs. n. 42/2004.

In riferimento alla sanatoria degli abusi “minori”, in attesa della conversione del D.L. n. 69/2024, si segnalano le possibili criticità che potrebbero conseguire dalla prossima applicazione dell’art. 36 bis, comma 4, del T.U.E. in relazione agli interventi eseguiti su immobili vincolati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica: in questi casi, infatti, la disposizione prevede che, per la sanatoria delle opere abusive, il Dirigente o il Responsabile dell’ufficio richiede all’autorità preposta alla gestione del vincolo apposito un parere vincolante in merito all’accertamento della compatibilità paesaggistica dell’intervento.

L’autorità, poi, deve pronunciarsi sulla domanda entro il termine perentorio di 180 giorni, previa acquisizione del parere vincolante della Soprintendenza da rendersi entro il termine sempre perentorio di 90 giorni: in assenza dei citati pareri entro il predetto secondo termine, il Dirigente o il Responsabile dell’ufficio provvede autonomamente.

Ebbene, in assenza di indicazioni in merito, si pongono alcuni problemi interpretativi circa la portata applicativa della nuova norma del T.U.E. in rapporto con l’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004: infatti, come evidenziato in precedenza, la nuova sanatoria ex art. 36 bis è consentita anche per le parziali difformità, tra le quali la giurisprudenza annovera anche gli aumenti, minimi e non rilevanti, di cubatura e superfice.

Il summenzionato art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004, invece, disciplina l’accertamento di compatibilità paesaggistica (che in ogni caso, si rammenta, non costituisce una sanatoria paesaggistica postuma), e lo limita drasticamente alle sole ipotesi in cui l’attività abusiva non abbia comportato “creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”: le previsioni recate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, dunque, non contemplano in alcun modo la possibilità di “sanare” nemmeno la minima realizzazione di superfice o volume non previamente autorizzata.

Per di più, le previsioni dell’art. 36 bis divergono anche con quanto disposto dall’art. 32, comma 3, del T.U.E., il quale prende in considerazione due ipotesi: i) gli interventi realizzati con variazioni essenziali su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, che sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli artt. 31 e 44 D.P.R. n. 380/2001; ii) in via residuale, la stessa norma prevede che “Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali”.

Pertanto, dal tenore letterale della disposizione de qua risulta esclusa la possibilità di ricollegare la nozione di “parziali difformità” agli immobili vincolati o siti in aree sottoposte a vincolo, posto che su di essi tutti gli interventi sono sempre considerati variazioni essenziali.

Per l’effetto, stando a quanto stabilito dall’art. 32 del T.U.E., non modificato dal Decreto “salva casa”, per gli immobili vincolati non sussistono parziali difformità da poter sanare mediante il ricorso alla nuova procedura delineata dall’art. 36 bis.

È auspicabile, dunque, un intervento normativo in sede di conversione del D.L. n. 69/2024 finalizzato a coordinare ed a specificare l’ambito applicativo delle menzionate disposizioni, al fine di non incorrere nel rischio, contrario alla ratio ispiratrice della riforma, di favorire il proliferare di contenziosi che aggraverebbero ulteriormente i procedimenti amministrativi per le regolarizzazioni degli immobili.

 

 

 

 

 

 

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1] Consiglio di Stato, Sez. II, Sent. n. 4149/2024.

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